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Tra le città più antiche d'Italia, la sua storia si perde nella notte dei tempi.
Ignota è la sua fondazione, le aree circostanti erano già abitate da pastori circa 11 mila anni fa; la tradizione vuole che sia stato il Re di Argo, eroe greco della Guerra di Troia, a dar vita a questo luogo; la leggenda racconta che Diomede, approdando nella zona in inverno vi trovò invece il sole, così chiamò la citta Haitria cioè "Sereno". Altre ipotesi formulate sulla sua genesi, narrano della fondazione da parte dell'antico popolo dalmata degli Illiri, oppure dei Siculi, che le avrebbero messo il nome del loro dio "Adrano". Altre, sostengono che il nome venga dai termini latini "atrio" oppure "Ater" ovvero nero, ma molto probabilmente il nome fa riferimento ad un termine arcaico della lingua indoeuropea, andato poi perduto; una delle tante tradizioni afferma anche che la città abbia dato il nome al mare Adriatico. In epoca imprecisata diventa, con Ascoli ed Ancona, una delle più importanti città stato del popolo dei piceni, che si fuse con le precedenti popolazioni. Grazie alla sua vicinanza al mare e la presenza di un porto, fu snodo commerciale tra le popolazioni dell'Adriatico, tra queste l'evoluta Grecia e le popolazioni dell'entroterra italico come gli Etruschi e gli Umbri. Sviluppato era l'artigianato e soprattutto la lavorazione dei metalli preziosi, qui veniva anche battuta moneta, del quale sono sopravvissuti alcuni esemplari, secondo alcuni studiosi databili tra il VII e il VI secolo a.C. In epoca romana diventa una colonia nel 289 a.C., mantenendo però moneta propria, fu famosa per aver generato la famiglia Adriana, che aveva fatto fortuna trasferendosi nelle colonie spagnole ed in seguito agli imperatori Adriano, che la riteneva la sua seconda patria e Traiano. Sempre sotto Roma, continuerà lo sviluppo del porto e del commercio, minacciato però dai pirati illirici che spesso saccheggiavano le rotte marittime, la flotta romana ed atriana quindi si schiereranno insieme per arginare il fenomeno. Durante le guerre puniche subisce i saccheggi di Annibale e probabilmente, il condottiero cartaginese si accampò nei pressi della città che si mantenne comunque fedele a Roma, sconfitto l'invasore sarà ricompensata per aver partecipato alla lotta e salvato la capitale latina. Durante la successiva Guerra Sociale, scoppiata tra i romani ed i popoli italici tra l'91 e l'88 a.C., non vi prenderà parte rimanendo alleata a Roma.
La città romana sarà mano a mano abbandonata durante le invasioni barbariche, col tempo la popolazione diminuì a causa anche della pirateria, rientrerà nel ducato di Spoleto a seguito della conquista longobarda in Italia, sarà descritta dallo storico Paolo Diacono, come "Civitas Vetusta". Le prime fonti scritte che segnalano l'abitato dopo le invasioni barbariche, iniziano nell'anno 829, quando su di un contratto dell'abbazia di Farfa si legge che Albuino di Labuino scambia con i monaci i suoi possedimenti in Sabina, in cambio di altrettanti beni nella terra "Atrianese", nella contea di Penne. Quindi i territori nei pressi del centro erano già dei farfensi e nel 967, il feudo gli sarà ancora riconfermato dall'imperatore Ottone I, quando si legge anche della presenza della chiesa di San Valentino. Nel frattempo, nel 991 viene donato ai monaci di Montecassino il vicino castello di Collepetitto, mentre nel 1050 abbiamo la prima menzione come "Castello di Atri", che viene donato ai monaci di Farfa dal conte teatino Trasmondo III. Si perse nel frattempo la presenza farfense, che venne sostituita dal Vescovo di Penne, quando nel 1140 entra in possesso della chiesa di Santa Maria d'Atri. Arrivarono anche i normanni che imposero il loro dominio sul castello, si legge dal loro catalogo dei baroni, redatto tra il 1150 ed il 1168, che Atri era posseduta direttamente da Roberto Conte di Apruzio; nel 1183 compare l'abbazia di San Giovanni a Casanello. In quell'anno infatti, viene risolta una causa tra il vescovo pennese e l'Abbazia benedettina dei Santi Quirico e Giulitta di Micigliano, in provincia di Rieti, sorta per la nomina dei suoi rettori. L'anno successivo il papato, conferma all'abbazia reatina i beni atriani e le chiese a lei sottoposte. Durante la fase Sveva nel Regno di Napoli, la città si vedrà schierata con il partito d'opposizione, quello guelfo, sostenitore del Papa; in questo periodo emerse la famiglia degli Acquaviva, che presto si legherà alla storia cittadina. Nel 1195 l'imperatore Enrico VI, concede ai fratelli Rinaldo e Fortebraccio d'Acquaviva ed alle loro mogli: Foresta e Sconfitta, i territori appartenuti a Leone d'Atri. Da alcune documentazioni datate 1240-45, si denota che le abitazioni cittadine destinate alla Regia Corte, furono danneggiate e se ne ordinava la ristrutturazione con i mezzi della popolazione locale. Dopo la morte nel 1250 di Federico II, l'ultimo imperatore svevo, l'anno seguente la cittadina sarà premiata, per la sua fedeltà al papato, con l'erezione a diocesi voluta dal Cardinale Carlo Capocci, così che la chiesa di Santa Maria sarà elevata al rango di cattedrale. Vengono tracciati i confini della diocesi, a Nord il fiume Tronto, a sud il Fino ed il torrente Baricello, che nasce nei pressi di Farindola, inoltre concede al vescovo diversi possedimenti, come la città Sant'Angelo e parte delle terre di Maria Contessa di Loreto Aprutino. Inoltre, vengono concessi i diritti comunali alla cittadina con la facoltà di eleggere il proprio podestà e di amministrare la giustizia, i nobili che avevano beni all'interno del nuovo stato dovevano prestare giuramento, sia al Vescovo che al Podestà. In aggiunta gli vennero concessi i beni del suo territorio, appartenuti all'imperatore Federico II, l'anno seguente il pontefice unisce la diocesi a quella di Penne mentre si avvia la costruzione della cattedrale, sopra la chiesa di Santa Maria. Carlo d'Angiò diventa Re di Napoli nel 1266 dopo aver scacciato gli svevi, nel 1273 riorganizza i territori abruzzesi ed istituisce il "Giustizierato d'Abruzzo Citra", che andrà a comprendere anche Atri ed i territori dell'abbazia di San Giovanni in Venere, il castello di Monte Petitto e la chiesa di San Giovanni Filitribune. A questa è legata la famiglia Acquaviva, prestando quindi giuramento all'Abate di San Giovanni in Venere nel 1275. Due anni più tardi, la città è chiamata a pagare il mantenimento di una forza navale per pattugliare le coste contro la pirateria. Intanto la famiglia di Roberto e Gualtiero d'Atri nel 1279 possiede beni del regno nella città, mentre nel 1281 Riccardo Acquaviva acquista varie proprietà dal convento di Santa Maria Maddalena, oggi Santa Chiara. Viene registrata la ribellione al Re di Andrea Ventura di Atri, poi perdonato nel 1291 con il permesso di riappropriarsi dei suoi beni e di tornare nella città, sempre con l'accettazione degli abitanti. Nel 1305 viene terminata la maestosa cattedrale e due anni più tardi, Roberto d'Angiò approva gli statuti, poco dopo ci fu la ribellione di Riccardo d'Atri che nel 1315, col suo esercito penetrò nella città causando morti e feriti. Singolare è l'episodio del 1323, quando il Vescovo si mette a capo di una folla armata ed assalta i conventi francescani e domenicani, colpevoli di tumulare i piccoli nelle fosse della chiesa. Negli atti del comune si segnala nel 1329, la richiesta di far stimare le terre ad agrimensori esterni al Regno, quando si erano venuti a creare disordini nell'applicazione delle tasse; nel 1336 vengono ristabiliti i capitoli dell'arte della lana e trasmessi al Re, dopo la crisi del settore dovuta a concorrenti sleali. Ci sono varie turbolenze nelle città del regno, Atri compresa e il Re Robertò d'Angiò chiede il mantenimento della pace, morirà nel 1343 e gli succede Giovanna I che nel 1245 cede il feudo atriano al cugino Luigi di Calabria, in cambio di un cospicuo finanziamento. Torna libero comune sempre per volere della regina nel 1362, ma presto sarà invischiato nelle guerre di successione del regno e con la guerra tra il Papato e l'Antipapa Clemente VII. Questo viene eletto nel 1378 a favore della la regina Giovanna, poi spodestata dal pretendente al trono Carlo d'Angiò Durazzo nel 1381, al quale succederà il figlio Ladislao sostenitore di Papa Bonifacio IX, che alla fine sconfiggerà l'Antipapa. Da segnalare è il terremoto del 1384, che fece danni alla cittadina e anche a Teramo. Nel 1390 Ladislao d'Angiò viene incoronato Re di Napoli, Atri che aveva patteggiato per l'antipapa ed era un feudo pontificio, è ceduto al regno napoletano e sarà così interdetta, insieme ai canonici della cattedrale, fino al 1392 quando l'abate di San Giovanni in Venere, verrà incaricato da Bonifacio IX di reintegrarla. A coadiuvare l'abate sarà Antonio Acquaviva, che grazie alle politiche matrimoniali di suo padre, cugino di Ladislao, quindi favorito dalla parentela ne approfittò acquistando la città di Teramo ed Atri. L'anno seguente, il Re gli conferma le concessioni, ma probabilmente per non indispettire la popolazione di Atri, continuerà a risiedere a San Flaviano, poi muore nel 1395 e sarà il figlio Andrea Matteo a stabilirsi in città, trasformandola nella sede della potente famiglia. Nel 1399 tentarono di entrare in città le truppe di Bernardone, forse un mercenario bretone, insieme ad altri soldati di ventura ed ai figli del conte di Montorio: Giovanni e Paolo Camponeschi, si sa che provarono ad introdursi dagli orti di San Domenico. Andrea Matteo muore nel 1407, assassinato dalla famiglia Melatino di Teramo un tempo sua alleata, il ducato passa al figlio Antonio II ma già nel 1414 gli succede il fratello Pier Bonifacio, che non riuscirà ad insediarsi nel ducato. Nello stesso anno muore anche Ladislao e contemporaneamente la popolazione atriana si ribella, assaltando la porta di Capo d'Atri e la sua rocca, dove sono asserragliati i soldati del Regno, ma viene subito perdonata dalla Regina Giovanna. Nel 1419 costei riconsegna la città e la dignità ducale a Pier Bonifacio, che riesce anche ad ottenere una riduzione delle tasse, alla sua morte nel 1421 gli succede il figlio Andrea Matteo II. Nel 1435 morta la Regina Giovanna II, sorsero nuove dispute per la successione, stavolta tra Renato d'Angiò Valois ed Alfonso V d'Aragona, il Duca nel 1438 si allea con un avversario degli aragonesi: Francesco Sforza, sposandone anche la figlia e con cui si schiererà anche suo zio: Giosia Acquaviva. All'incoronazione di Alfonso nel 1442, vengono confiscati i beni al ducato e Atri diventa città demaniale, ponendo l'approvazione ai capitoli della città e concedendole vari privilegi, tra questi parte dei beni ducali. L'anno dopo la comunità decise di proporre un'alleanza a Campli e Teramo, ma già due anni più tardi, la popolazione si ribella contro il Vicerè d'Abruzzo, che risiedeva in città imponendo alte tasse, costringendolo alla fuga. L'Acquaviva adirato per non aver ottenuto le due città, reagì alleandosi con lo Sforza per assediare Teramo nel 1443, alla guida delle sue truppe sconfiggerà, nei pressi di Villa Bozza, l'esercito di Alfonso partito in aiuto della città aprutina. Riappacificatosi col Re, nel 1446 Giosia ha la conferma della contea di San Flaviano ma viene privato di Atri e Teramo, in quanto la popolazione gli era ostile ed aveva richiesto al Re di non tornare sotto il ducato. L'aquaviva quindi sposta la sua residenza a Cellino Attanasio nel 1450. Nel 1452 Atri è ancora sottoposta al demanio ma nel 1459, per disposizione di Re Ferrante d'Aragona, insieme a Teramo torna in mano a Giosia. Ribellatosi nuovamente agli aragonesi, si scontrerà con il loro esercito guidato da Matteo di Capua. Questi, una volta invaso il ducato, nel 1462 occuperà Atri e costringerà Giosia ad asserragliarsi a Cellino dove muore di peste. Matteo Di Capua sarà brevemente a capo del ducato che nel 1464 tornerà agli Acquaviva con Giulio Antonio, tornato in buoni rapporti con Re Ferrante. A lui si deve il privilegio del 1479, poter aggiungere al nome degli Acquavivia le insegne aragonesi; intanto cinque anni prima, la città aveva ottenuto privilegi per favorire l'attività portuale. Nel 1481 succede Andrea Matteo III d'Acquaviva-Aragona, che avrà rapporti altalenanti col Re, parteciperà infatti alla Congiura del Baroni del 1485, vedendo poi i beni confiscati, infatti Atri gli viene restituita solo nel 1495. Quattro anni più tardi esplodono nuovamente guerre di successione tra francesi e spagnoli, gli Acquaviva si schierano nuovamente coi primi, capeggiati da Luigi XII che conquista il regno e nel 1502, riconferma i vari privilegi ai duchi. La situazione verrà subito ribaltata dagli spagnoli di Ferdinando d'Aragona, salito al trono nel 1504. L'anno prima Andrea Matteo III, lo aveva combattuto ed era stato sconfitto ed imprigionato a Gaeta fino al 1506. Ne approfitta la città che sempre nel 1504, si rivolta agli Acquaviva; costretti alla fuga ed a rifugiarsi prima a Cellino e poi nelle Marche, a Ripatransone. Con la vittoria aragonese, la città viene concessa a Prospero Colonna fino al 1505 con il trattato di Blois, Re Ferdinando restituisce ai baroni ribelli i loro feudi, l'anno seguente saranno nuovamente confermati i beni ducali ad Andrea Matteo III. Questo per tornarne in possesso però sarà costretto ad assediare Atri nel 1507; in quell'anno anche la città giurerà fedeltà al Re. Clemente VII nel 1526, prova ad unire le diocesi di Penne e di Atri, sottoponendole all'arcidiocesi di Chieti, l'unione durerà fino al 1539, nel frattempo scoppia la Guerra della Lega di Cognac, nel 1528 Odet de Foix si accampa nei pressi dell'insediamento per una breve sosta, durante la sua marcia per porre assedio a Napoli. Nel 1531 viene scritto il nuovo statuto, ispirato a quello di Andrea Matteo III, nel 1555 riesce a farsi riconoscere il castello di Silvi; due anni più tardi si avviano i lavori per deviare il corso del fiume Vomano al fine di costruire un nuovo porto. Tra il 1556 ed il 1557 scoppia la Guerra del Sale, che comprenderà anche gli eventi della "Guerra del Tronto", la città ne viene toccata e si registra la distruzione del convento di San Leonardo, posto fuori le mura dove oggi si trova la Villa Comunale. Il convento viene ricostruito nel 1581 mentre ormai lontano dai tumulti del XVI secolo la cittadina si avvia ad un periodo di pace e stabilità durante buona parte del '600. In questo periodo segnato dalla fine del concilio di Trento e dalla controriforma, fioriranno numerose confraternite e le chiese si arricchiranno di opere d'arte, nel 1602 viene creato il Monte della Carità mentre venti anni dopo è segnalato l'ospedale di San Liberatore. Durante la visita pastorale del 1559 vi erano sedici confraternite, nella cattedrale era stato anche eretto il Monte dei Morti, nei pressi delle mura atriane altre cinque chiese provvedevano ai servizi religiosi per la popolazione. La famiglia Acquaviva in questo secolo vede una grande battuta d'arresto alla sua espansione, dove sepolta da numerosi debiti, è costretta ad ipotecare diversi feudi, cercando presto di recuperarli. Nel 1644 è ricordato come anno di rivolte nel ducato, stessa cosa si ripeterà nel 1647 a seguito della sommossa antispagnola di Masaniello, costringendo la famiglia a rifugiarsi a Giulianova. Con la morte di Carlo II nel 1700 scoppieranno nuove guerre di successione, i duchi si schiereranno con gli spagnoli e la città sarà invasa dagli Asburgo nel 1707, il duca perde nuovamente i suoi feudi. L'anno successivo gli austriaci devastano il palazzo ducale ed infine la famiglia vi rientra solo nel 1734, dopo aver giurato fedeltà alla dinastia dei Borbone. Dal 1745 è Duca Rodolfo III che preferirà trasferirsi a Napoli, abbandonando la città; morendo senza eredi nel 1755, termina la dinastia dei duchi che proseguirà solo per breve tempo attraverso la sorella: Isabella Acquaviva Strozzi. Morirà anch'essa senza prole cinque anni più tardi, da questa data il ducato sarà incamerato nello Stato Allodiale di Atri, direttamente sottoposto al regno di Napoli. Arriva la rivoluzione francese in Italia, durante la Repubblica Partenopea nel 1799 la cittadina diventa capoluogo di Cantone, compreso nel più vasto Dipartimento del Pescara, nel 1807 con Napoleone viene istituito il Governo di Atri che nel 1811 si trasforma nel moderno comune. Durante la restaurazione sarà mantenuto il nuovo ordinamento fino all'Unità d'Italia, con la spedizione dei mille garibaldini inizia la lotta per unire lo stato, tra questi vi era l'atriano Pietro Baiocchi, caduto durante la conquista di Palermo. Dopo la nascita del Regno italiano vengono create le province ed Atri entra a far parte di quella di Teramo, a capo di un suo Mandamento che comprendeva anche: Castilenti, Cellino Attanasio, Montefino, Mutignano e Silvi. Agli inizi del XX secolo rimane famosa la rivolta del 1906, scoppiata nella frazione di Casoli, che coinvolgerà la popolazione delle campagne contro il municipio ed il sindaco Ambrogio Arlini. Durante il ventennio fascista, vengono effettuati alcuni aggiustamenti territoriali a seguito della soppressione dei Circondari e dei Mandamenti, nel 1927 gli vengono aggregati i comuni di Silvi e Mutignano per due anni, nel 1932 gli insediamenti di Calvano e di Scerne vengono ceduti a Pineto. Durante la Seconda Guerra Mondiale è toccata dagli eventi bellici nel 1943, viene ucciso il combattente antifascista Francesco Martella, l'anno seguente, lungo la costa ci saranno scontri tra gli eserciti dell'Asse e gli Alleati, la città ospiterà gli sfollati del comune di Silvi. Nel secondo dopoguerra nel 1949, si vedrà la divisione della diocesi di Atri da Penne, aggregata quindi a quella di Teramo con il quale si fonderà nel 1986.
La visita della città può impiegare diverso tempo grazie ai numerosi punti di interesse, sia dentro le mura che nelle zone circostanti. Si può iniziare dal grande viale dedicato a Umberto I che si trova nella parte orientale dell'abitato, dove si ricongiungono le strade che arrivano dal litorale, proseguendo verso il centro si imbocca Via Andrea de Litio che porta verso il duomo. La chiesa di Santa Reparata, appoggiata al fianco della cattedrale, segna l'inizio di un grande marciapiede che prosegue fino alla piazza, seguendo la navata del grande complesso medievale dove si aprono l'ingresso laterale e la Porta Santa. Arrivati in piazza si rimane stupiti dalla pregevole facciata del duomo e dagli altri monumenti che vi si affacciano, ricordiamo Palazzo Mambelli posto alla sinistra della chiesa, il Teatro Comunale, il palazzo dell'Ex Seminario e quello del Vescovo. Da qui si prosegue per il corso cittadino, dedicato all'imperatore romano Elio Adriano, subito sulla sinistra vi è la chiesa di Sant'Agostino, adiacente a Palazzo Illuminati. Più avanti vi è la piazzetta Francesco Martella, con il monumento alla Resistenza e l'elegante facciata dell'Albergo Nuovo, continuando a salire per il corso si innalza la mole della chiesa di San Francesco, con la sua elegante scalinata. Da qui si può deviare verso la via che passa a sinistra della facciata, fino a raggiungere l'Arco di San Francesco con la statua de "Lu Mammocce", figura del folklore atriano. Tornati al corso si continua la salita fino alla Piazza dei Duchi d'Atri, dominata dalla grande facciata del Palazzo Ducale al quale si affianca la piccola cappella di San Liberatore. Passando sotto l'arco che collega due ali del Palazzo degli Acquaviva, si continua fino alla medievale chiesa di San Nicola, poco prima si nota sulla via la bianca sagoma del novecentesco palazzo De Albentiis. Si scende oltrepassando l'edificio sacro fino alla via Picena, riconoscibile dalle eclettiche forme della Casa Illuminati, da qui è anche possibile continuare la discesa fino ad arrivare al belvedere del Vomano, proseguendo si raggiunge piazza Capo d'Atri, qui c'è un piccolo parchetto al centro mentre su di un lato vi è la chiesa del Santo Spirito, davanti alla strada che esce dalla cittadina si notano i resti delle mura della rocca. Tornando indietro si prende verso sinistra e percorrendo la prima via laterale che si incontra, ci si ritrova nell'accogliente largo Forosetto, percorrendolo si arriva ad un'altra stradina che conduce fino a Via Trinità dove, poco più avanti, ci si imbatte con la chiesa che le dà il nome. Passando oltre, si arriva ad un bivio dove al centro si alza il palazzo Ricciconti, sulla sinistra vi è il lungo profilo del palazzo Sorricchio, la via che li divide conduce fino a piazza Martelli, l'altra invece scende fino alla terrazza, che si prospetta sul margine meridionale della città. Scegliendo questa strada e continuando lungo l'area panoramica, si raggiunge un piccolo spiazzo, dove si trova l'interessante palazzo Angelini-Pierangeli ed a seguire quello dei Cherubini, dove riprende un altro tratto di terrazza fino ad una piazza adiacente a Via Umberto I. Si potrebbe quindi tornare in Piazza Duomo e scegliere stavolta via Cicada, che scende verso la chiesa di Sant'Andrea e l'ex convento gesuita fino ad arrivare al margine settentrionale del paese, dove si trovano la chiesa di San Giovanni Battista e la porta di San Domenico. Si risale quindi per il belvedere del Vomano dove, ad un certo punto, si nota un grande muraglione che cinge un giardino, appartenente al monastero di Santa Chiara, raggiungibile seguendo il muraglione fino alla via che porta il nome della santa. Dalla sobria facciata della chiesa monastica, si può tornare nella Piazza dei Duchi e quindi fino al corso, concludendo il giro dei principali monumenti; ovviamente si consiglia una visita più approfondita per esplorare ogni scorcio di questa meravigliosa città.

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