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Domenico Savi (Meco del Sacco)
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Domenico Savi è conosciuto come Meco del Sacco. Deve il suo “nome” all'abito da penitente che indossava, costituito da una semplice tunica di tela di sacco, legata in vita da una corda di canapa. Domenico ideò, sembra nel 1334, la festa dell'Ascensione che dopo poco tempo divenne una autentica tradizione popolare che unì al territorio numerose genti dei paesi alle pendici del monte omonimo sulla cui vetta il Savi fece erigere un tempio dedicandolo proprio all'Ascensione di Gesù Redentore e all' Assunzione in cielo della Madonna. La data di nascita di questo religioso non la si conosce ma si ipotizza si possa far risalire all'ultimo decennio del XII secolo. Proveniva da una famiglia agiata, tanto che fu avviato agli studi come pochi a quei tempi. Fin da ragazzo si era distinto per l'ingegno versatile E la predisposizione per le lettere e le scienze filosofiche. Più tardi scoprì l'ascetismo dedicandosi alle opere di carità. Durante il suo percorso di devozione fondò la “Compagnia dei Pinzoccheri” (poi detta dei Sacconi), presto divenuta molto numerosa. Il "successo" di questa sua iniziativa aveva attirato però invidie e gelosie e di conseguenza Domenico venne accusato di aver fondato un raggruppamento che altro non era che una diffusione della setta dei Flagellanti, in quei tempi non vista di buon occhio per via delle sue posizioni radicali. Tra le accuse una particolarmente infamante: quella di favorire (e di esercitare) pratiche sessuali orgiastiche tra i seguaci che, si vociferava, dormissero nudi e in promiscuità. Nel 1320 Meco del Sacco arrivò ad avere nella città di Ascoli e nei suoi dintorni un vero e proprio stuolo di seguaci di quasi 10.000 persone. Oltre alla chiesa sul Monte dell' Ascensione, il Savi istituì un "hospitale" nella sua stessa abitazione di Porta Tufilla, facendosene nominare rettore. Si inasprirono ulteriormente i rapporti con i cosiddetti poteri forti e l'invidia dell'ordine Francescano iniziò il suo corso: il risultato fu che nel 1334 Meco subì un primo processo per eresia. Fu successivamente incarcerato dietro ordine di Padre Giovanni di Monte Leone, appartenente all' Ordine di San Francesco ed inquisitore generale della Marca. La condanna fu severa: furono infatti demoliti sia la chiesa che l'ospitale, i suoi beni furono confiscati e tutti i suoi libri bruciati. Uscito dal carcere, Meco, con l' aiuto degli Agostiniani da sempre in competizione con i Francescani, si recò ad Avignone a piedi, da Benedetto XII: il pontefice lo assolse da ogni colpa e gli restituì tutti i suoi beni. Nel 1339 il tenace Domenico riuscì a riedificare la sua chiesa sul monte e a consacrarla fu il vescovo Rinaldo IV. Le vicissitudini per il religioso non erano però finite: nel 1340 i suoi nemici distrussero nuovamente l'ospedale a Porta Tufilla senza risparmiare nemmeno gli altari, ma anche in questo caso gli Agostiniani lo salvarono facendo condannare gli autori del misfatto dal Vicario generale della Marca. Nuovamente gli fu mossa accusa, in questa occasione per motivi economici, dall'inquisitore Pietro da Penna San Giovanni ma papa Clemente VI intercedette. Domenico la scampò per ben tre processi, ma di lui, dopo il 1344, non si ebbe più traccia. La passione popolare gli attribuì svariati miracoli, tra cui ben sette resuscitati.

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