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Il nome è legato alla fondazione del centro nel territorio dell'antica città romana di Faleria.
La sua storia però si delinea a partire dal Medioevo, quando ormai la città romana era totalmente decaduta. Le popolazioni che l'avevano abitata con continuità fin d'allora, decisero quindi di spostarsi per questioni di sicurezza verso la cima del monte "Falarinus", ricordato in epoca antica per la battaglia combattuta nel 90 a.C. Lo scontro3 vide schierati da una parte l'esercito romano di Gneo Pompeo Strabone, dall'altra le armate ribelli degli italici di Gaio Vidacilio. In precedenza, forse il monte era già stato utilizzato dalle popolazioni picene, testimoniate da alcuni ritrovamenti del professore Pompilio Bonvicini, tra i principali archeologi che si sono occupati degli scavi di Faleria. L'insediamento antico posto sul fondovalle, resisterà fino all'epoca longobarda mantenendo una certa importanza, in questo periodo la popolazione si sposterà nei pressi di San Paolino, dove il territorio permetteva una migliore difesa. Il centro fu sede episcopale fino al IV - V secolo d.C., soppiantata poi da quella di Fermo, che a quei tempi si andava delineando come una tra le più importanti città del territorio; rimarrà ancora attiva per qualche tempo, l'importante pieve di Santo Stefano. Al centro longobardo si sostituirà il castello medievale, sorto più in alto forse per volontà di Mainardo di Siffredo, ricco possidente terriero e membro di una famiglia legata all'abbazia farfense, proveniente dal confine tra Servigliano e Santa Vittoria. Mainardo è il primo della ricca famiglia a raggiungere il titolo di Conte e vassallo del vescovo di Fermo, si ritaglierà un suo feudo anche usurpando numerosi terreni ai monaci farfensi. Ebbe due figli: Giberto e Offone, il primo si stabilì a Falerone mentre il secondo a Villa Magna, nei pressi di Urbisaglia. Da Giberto discenderà la linea dei signori di Falerone, protagonisti per diverso tempo della politica fermana, inoltre dai suoi rami nasceranno altre importanti famiglie. Alla sua morte il feudo passerà a Mainardo II e poi al nipote Esmidone, vissuto nella prima metà del XII secolo. Questi dividerà i possessi tra il figlio legittimo, Giberto II e quello naturale Gentile, posto sotto la protezione del vescovo fermano, per difenderlo dalle eventuali rivalse del fratello. Giberto II morirà verso il 1150, dividendo ancora i suoi domini per altrettanti figli, tra questi Ruggero detto Fallerone, che erediterà il feudo principale della dinastia. Tra gli altri discendenti, si ricordano Rinaldo il Vecchio che fonderà il ramo dinastico dei "da Mogliano" e Baligano, che riuscirà a diventare vescovo di Fermo; infine Berardo da Monteverde darà origine ad un'altra nota famiglia. Il castello, dunque intratteneva ottimi rapporti con la città e nel XIII secolo, partecipa agli scontri tra Guelfi e Ghibellini, cambiando probabilmente fazione a seconda delle convenienze. Fallerone sposa una parente della linea dei conti di Villamagna, tra i suoi figli si ricorda il Beato Pellegrino, Guidone e Corrado i quali, molto probabilmente, avrebbero dato origine ai castelli di Monte Vidon Combatte e Monte Vidon Corrado. Erediterà Baligano II che si prodigherà a consolidare il potere famigliare, intorno al 1250 passa il testimone a Fallerone II che sposa la figlia di Gentile da Varano di Camerino, quindi ai suoi figli Pietro ed Offreduccio, il secondo trasferitosi a Fermo darà origine agli Offreducci. Nel 1263, per volontà di Manfredi di Sicilia, figlio di Federico II di Svevia, sono riconosciuti i diritti su Falerone e Loro Piceno anche ai signori di Mogliano. Una finestra sui beni della signoria ci viene data nel 1274, quando avviene la spartizione delle eredità di Fallerone II tra i figli Pietro ed Offreduccio. Il fondo dinastico comprendeva anche: Servigliano, Belluco e forse Penna San Giovanni, porzioni di Loro Piceno e di Cerreto di Montegiorgio. Intanto continuavano gli scontri tra i i ghibellini e la controparte, l'anno successivo sono presenti prigionieri guelfi trattenuti nel castello; nel 1290 invece ci sarà il cambio di schieramento e saranno il vescovo ed il papato stavolta, a concedere privilegi alla signoria di Falerone. Nel XIV secolo il potere delle dinastie veniva sostituito da quello delle istituzioni comunali, sorte nella città di Fermo e negli altri centri limitrofi. I da Falerone, vedendo decadere le loro ricchezze, inizieranno a vendere beni e diritti sui vari feudi. In questo periodo avviene anche un'importante espansione del castello, con l'allargamento della cinta muraria che andrà a racchiudere i nuovi quartieri, sorti ai piedi delle precedenti fortificazioni. Intanto la dinastia dei da Monteverde, parente dei signori faleronesi, era salita al potere a Fermo nel 1331 con la figura di Mercenario, cacciato nel 1340. Nel 1348, il castello rientra nelle mire espansionistiche di Guastafamiglia Malatesta, da poco divenuto signore di Ascoli, che lo conquista cercando così di ampliare i suoi feudi ai danni del fermano, a quel tempo retto dalla signoria di Gentile da Mogliano. Continuano gli scontri e nel 1354 la compagnia di fra Moriale, assalta Falerone causando un cospicuo numero di vittime. Con l'arrivo del cardinale Albornoz, inviato dal papato per ristabilire l'ordine negli Stati Pontifici, Gentile viene cacciato dalla città fermana. Nel 1355 vengono emanate le famose "Costituzioni Egidiane" che da questo periodo in poi, disciplineranno vari aspetti della vita civile degli stati pontifici. Vi compare anche Falerone come uno dei maggiori centri del comitato fermano, ma già nel 1359 viene assediato da Anichino di Baumgarden e dal conte di Landau al soldo dei da Varano e dei Salimbeni di San Severino, ma subiranno grandi perdite senza riuscire ad espugnarlo. Rinaldo da Monteverde sale alla signoria fermana nel 1375, parente di Mercenario, fino alla sua cacciata nel 1379. L'anno precedente, Pietro II da Falerone ed i suoi figli, Stefano e Vangnozzo, si macchiarono dell'omicidio di Berto di Filippo dei signori di Massa durante una rissa scoppiata ad una festa. Fermo condanna l'accaduto attraverso il consiglio dei Priori e due anni più tardi, obbligherà la famiglia al trasferimento nella città. Tramontano così la dinastia dei signori di Falerone e degli altri rami eredi del conte Mainardo, mentre la loro capitale entrerà stabilmente a far parte dei castelli fermani. Nel 1493 nascerà la signoria degli Aceti, terminata nel 1396, subito dopo seguirà l'arrivo al potere del nipote del Papa: Ludovico Migliorati nel 1404. Costui era stato elevato a signore di Fermo dal potente zio Innocenzo VII, ma alla morte del parente non restituì il feudo al nuovo pontefice. Inizieranno quindi gli scontri, nel 1409 il castello faleronese era presidiato dalle truppe di Berardo da Varano a supporto al Migliorati, col compito di fare la guardia e difendere il territorio dagli angioini, ma l'esercito passa con il nemico ed il capitano umbro Ruggero Cane Ranieri interverrà, ripristinando l'ordine ed eliminando i ribelli. Altri scontri avverranno nei pressi del paese, quando le truppe fermane combatteranno contro Conte da Carrara e Martino da Faenza. Funesto sarà il 1413, che vede ancora il castello scenario di guerra, in quell'anno i fratelli Carlo e Andrea Malatesta andavano indebolendo il potere del Migliorati, assediando i vari centri del contado. Con la minaccia di utilizzare un'artiglieria di grosso calibro, diversi castelli si arrendono senza combattere, tra questi anche Falerone. Ritornato sotto il dominio fermano, tre anni più tardi, sarà ancora protagonista di un assedio, quando il Migliorati, stavolta braccato dalle truppe di Braccio da Montone, vi aveva trovato rifugio. L'abile capitano umbro riuscirà a forzare le difese, catturandolo e costringendolo a pagare un ricco riscatto; il castello intanto viene saccheggiato, i suoi abitanti fatti prigionieri ed anche dato alle fiamme l'archivio del comune. Il Migliorati morirà nel 1429, ma già nel 1433 il territorio marchigiano cade sotto il giogo di Franscesco Sforza, che si era insediato nella Rocca del Girfalco a Fermo. Il suo regime riesce ad estendersi per diversi anni, ma le costanti ribellioni ed il mutato scenario italiano, causano la perdita di parte del suo dominio nel 1444. In quest'anno il fermano è testimone dell'azione degli eserciti della chiesa, guidati dal famoso capitano Niccolò Piccinino e volti a scacciare il despota e che conquisteranno anche il castello faleronese; il governo sforzesco terminerà poco più tardi, nel 1446. Nel 1482 si pone fine ai conflitti con Camerino e Fermo, per il possesso di alcuni castelli, tra questi anche Falerone ritorna, stavolta definitivamente, al comitato fermano. Il paese subisce un altro tentato assedio nel 1498, stavolta da parte della compagnia di Ercole Bentivoglio, che andava devastando il fermano, ma non riuscendo a sfondare le difese, si ritira. Oliverotto Euffreducci, parente dei signori di Falerone, saliva al potere nel 1502 con un colpo di stato sanguinario, alleato con Cesare Borgia, figlio di Papa Alessandro VI. Il dominio avrà breve durata, poiché viene presto fatto assassinare dal Borgia nel 1503, impossessandosi della signoria fermana solo per poco tempo. All'epoca Falerone vive un periodo di splendore ed era considerato tra i maggiori castelli dello stato di Fermo, come testimoniano anche i suoi statuti. Il nipote di Oliverotto, Ludovico Euffreducci, nel 1513 tenta di stabilirsi alla signoria della città, supportato dal castello di Falerone in quanto antica sede della famiglia ed ancora ad essa fedele. Lo ospiterà per qualche giorno con il suo seguito, successivamente incalzato dagli eserciti di Fermo, sarà costretto alla fuga; a breve l'elezione di Papa Leone X, suo amico, lo farà salire a capo si una sua signoria. Ma nel 1520 viene bandito da Fermo e considerato un ribelle anche dal pontefice. Arriva nella città l'esercito papale guidato dal vescovo Niccolò Bonafede, che ordina la cattura di Ludovico alle compagnie di Carlo Baroncelli da Offida e Brancadoro da Fermo, le quali nel frattempo stazionavano a San Benedetto del Tronto. Il fuggitivo si ritira a Falerone, dove la popolazione gli apre le porte, diventando anch'essa ribelle alla Chiesa, da qui, gli eserciti pontifici occuperanno anche Servigliano. A questo punto, il latitante Effreducci, insieme ad Alessandro da Carnasciale, porterà la distruzione nei dintorni di Fermo, si uniranno a loro anche i banditi da San Ginesio, da Ascoli, soprattutto i sostenitori della fazione dei Guiderocchi. Il Bonafede decide quindi, di porre fine alla ribellione, all'inizio chiede la resa a Ludovico in cambio del perdono pontificio, ma visto il netto rifiuto si mette a capo delle milizie fermane, capitanate da Brancadoro, e gli muove contro. Nel frattempo Falerone veniva assediato dai pontifici guidati da Giovanni de Medici, il Bonafede si sposta intanto a Grottazzolina per poi raggiungere Santa Maria del Piano per ricongiungersi con il resto delle truppe. Per spezzare l'assedio, il Migliorati esce dal castello col suo esercito e tenta di aggirare gli assedianti, cerca lo scontro nei pressi delle Piane di Montegiorgio ma perde la vita in battaglia e le sue truppe sono disperse. Gli eserciti vittoriosi con in testa Brancadoro e Carlo Baroncelli penetrano a Falerone perpetrando devastazioni e saccheggi, il castello insieme agli altri beni degli Euffreducci sono offerti a Giovanni de Medici come pagamento. A seguito dei disaccordi con Papa Paolo III, nel 1537 Fermo perde il suo comitato di castelli, che viene trasformato nello "Stato Ecclesiastico dell'Agro Piceno" con sede a Montottone e controllato da un parente del pontefice, tale Pier Luigi Farnese. L'avventura durerà dieci anni, fino al perdono papale per la città, che riacquisterà finalmente tutti i suoi feudi. Continueranno i dissapori con la città di Fermo, infatti, nel 1570 questa vince una causa contro Falerone perché imponeva ulteriori tasse ai suoi abitanti. I faleronesi allora fecero ricorso al pontefice e riuscirono ad essere distaccati da Fermo e sottoposti direttamente alla Santa Sede, ma dopo cinque anni tornarono al vecchio ordinamento a seguito di un'ulteriore ricorso dei fermani. Il seicento sarà un periodo più tranquillo per il paese, nonostante i segni la decadenza politica. Nel XVIII secolo si avviavano le prime attività legate alla lavorazione della paglia, anche per la creazione di cappelli. Arriva la rivoluzione francese anche in Italia e nel 1798 viene scacciato il pontefice e creata la Repubblica Romana, si riassetta il territorio ed il paese finisce sottoposto a Montegiorgio. La fine dei moti l'anno seguente, vedono il ritorno del pontefice ed il ripristino degli antichi ordinamenti ma nel 1809 viene ancora scacciato il Papa, stavolta da Napoleone e nasce il regno d'Italia. Vengono ripristinati i dipartimenti repubblicani, dopo il 1811 il cantone di Montegiorgio e quindi Falerone passano dal distretto di Fermo a quello di San Ginesio fino alla cacciata dei Napoleonici nel 1814. Due anni più tardi vengono rinnovate le amministrazioni ecclesiastiche e si creano le Delegazioni apostoliche, fino al 1833 il centro sarà sede di governo. Dopo questa data, invece, sarà accorpato al governo di Montegiorgio. Con l'Unità d'Italia il comune entra a far parte della neonata provincia di Ascoli Piceno, rimanendovi fino al 2004, con la creazione della nuova provincia fermana. Nel XX secolo si assisterà all'espansione edilizia ed economica nella sottostante frazione delle Piane, dove anche grazie alla ferrovia diventerà un centro industriale ed artigianale.
Se ne consiglia la visita nei giorni in cui va in scena la festa della "Nzegna", con i suoi carri allegorici che trasportano opere realizzate in paglia, materiale che la popolazione faleronese ha sapientemente utilizzato negli anni per la preparazione di copricapi; il paese infatti fa parte, insieme a Monte Vidon Corrado, Montappone e Massa Fermana, del "Distretto del cappello". Si può visitare il paese sia partendo dalla parte alta dove sorge il Beato Pellegrino, lo stabilimento storico del cappellificio e la mole di Palazzo Antonelli, sia da quella più in basso dove si trova il vecchio ospedale. Partendo dalla sommità del paese si procede lungo Corso Garibaldi fino alla piazza principale, qui si notano il contemporaneo palazzo municipale ed il complesso di San Pietro con la chiesa di San Giovanni ed il santuario della Madonna del Buon Consiglio. Si prosegue lungo il corso dove si inizia ad intravedere il campanile di San Fortunato con l'orologio pubblico, sulla sinistra si apre l'elegante nicchia della Casa di San Paolino. Raggiunta la piazza della Libertà, il convento francescano si mostra con la sua chiesa, impossibile non apprezzare il loggiato rinascimentale con al fianco la chiesetta di San Sebastiano. La strada dedicata al Beato Pellegrino si raccorda con la parallela al corso, che attraversa il paese in tutta la sua lunghezza. Lungo quest'asse viario, si trovano l'ex convento delle clarisse ed il Palazzo Vermigli, una fitta rete di ripide stradine si ricollegano col corso principale. Uscendo dall'incasato, ci si ritrova su una rampa dove sorge l'Ex Ospedale, da questo punto si può risalire lungo le vie che costeggiano la cinta muraria a Nord e a Sud.

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