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Istituzione molto cara agli atriani, sorge in uno dei punti più alti della città e dal XIII secolo ha ospitato la sua comunità monastica. Alcune parti del muraglione che circondano l'opera, sono riconducibili ai resti di opere della città romana.
La tradizione vuole che il monastero sia stato fondato dalle monache compagne di Santa Chiara d'Assisi, grazie anche all'interessamento dell'atriano Filippo Longo, tra i primi discepoli di San Francesco e frate confessore della comunità femminile fondata dalla santa. Viene ricordata nei documenti a partire dal 1260, quando Papa Alessandro IV ne approva l'erezione e lo pone sotto la protezione della Santa Sede, ma esisteva già da qualche tempo, infatti il documento ricorda che l'anno precedente era stato esentato dalla giurisdizione del vescovo. All'origine era conosciuto come il convento di San Maria Maddalena, dopo l'approvazione della regola delle Clarisse, da parte del pontefice nel 1263, probabilmente muterà il suo nome in Santa Chiara. Nel 1259 si riscontrano alcuni possedimenti terrieri in mano al monastero, nel 1278 Re Carlo d'Angiò esorta la comunità atriana a pagare il dovuto per uno scambio di beni, avvenuto tra la città e il monastero l'anno precedente. Nel 1281 Riccardo d'Acquaviva acquista diversi possessi delle monache, altre menzioni arrivano dal 1283 quando è registrato nei confini durante la creazione di un ospedale, nel corso del tempo cominciò ad ospitare suore provenienti da famiglie della nobiltà cittadina. Viene citato nel 1324 come insolvente rispetto al pagamento delle tasse ecclesiastiche delle Decime, da cui ne sarà esentato nel 1328. In questo periodo inizia una fase di decadenza del complesso monastico, dai documenti si nota che durerà fino al 1421, quando riesce ad ottenere una solidità finanziaria che gli permetterà di sostentarsi in maniera autonoma. Tra quattrocento e cinquecento rientra sotto l'ala di influenza degli Acquaviva, per volontà del Duca Andrea Matteo III che, trovando il convento in condizioni precarie, lo fa totalmente restaurare. I lavori lo restituiranno nelle forme che corrispondono a quelle attuali, si dice che la famiglia donò anche le dismesse scuderie per ampliarne la superficie e provvidero a circondarne il perimetro con una muratura. Sempre nel cinquecento, vi è registra la presenza di Santa Camilla Battista da Varano, della famiglia dei signori di Camerino, che era scappata dalla sua città per sfuggire ai nemici della dinastia. Arriva in città sotto la protezione della moglie del duca Andrea Matteo III: Isabella Piccolomini-Todeschini, vi rimarrà per poco tempo ma sarà l'unica santa ad aver vissuto in città. Nel 1634 le suore decidono di risistemare l'interno della chiesa a loro spese, facendo realizzare l'allestimento barocco ancora visibile. In questo periodo erano famose per la produzione del "Saponetto d'Atri", molto noto all'epoca, infatti nel 1667 verranno donati dal Duca Giosia III a dei parenti di Mantova che li avevano richiesti, poi la fabbricazione si perse a seguito degli sconvolgimenti napoleonici e con l'unificazione italiana. Questa tradizione nell'ottocento aveva dato origine ad una serie di industrie specializzate, sempre legate alle clarisse dalle quali si rifornivano di materiali, anch'esse scomparse insieme all'usanza. Durante le soppressioni napoleoniche nel 1809, si vuole che la Madonna sia apparsa ad una sorella,rassicurandola sul fatto che il convento non sarebbe stato chiuso, un'altra apparizione avvenne a Suor Maria Veronica De Pretis durante l'Unità d'Italia, eventi raccontati dalla Badessa del convento 250 anni dopo. Nel 1852 viene ricostruito il pavimento da Giovanni Pellarini di Venezia ma dopo l'unione italiana, il convento attraverserà un periodo di crisi economica che perdurerà fino alla Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra le suore ristruttureranno gran parte del monastero ed i giardini.
I contorni della grande struttura monastica appaiono semplici, per buona parte circondati da un muro, la chiesa è posta all'angolo tra la congiunzione di Via Santa Chiara con Via Beato Rodolfo Acquaviva. La facciata è decisamente scarna se si esclude il portale rinascimentale in pietra, caratterizzato ai lati da due pilastri scanalati, con capitelli di ordine corinzio che sorreggono un timpano triangolare, sull'architrave è ricordato il nome della Badessa dell'epoca: Sorella Innocenza. In alto si apre un grande finestrone rettangolare, mentre un cornicione chiude in alto con un coronamento orizzontale; da notare la diversa composizione delle murature, che segnalano le precedenti edificazioni della chiesa. Il piccolo campanile a vela si trova sul lato sinistro della struttura, contiene tre campane, le prime nelle due grandi arcate mentre la terza, più piccola, in una finestrella nella parte terminale della torre che si caratterizza per un profilo a bulbo. La parete esterna della navata, l'unica visibile, mostra anch'essa delle linee semplici e vi si apre anche l'ingresso laterale, il muro viene intervallato da una serie di lesene che proseguono anche nell'adiacente edificio conventuale, percorrendo tutto il lato della struttura. Dall'altra parte, addossato alla facciata, vi è un'alta sezione dell'edificio monastico, sulle murature si notano alcuni inserimenti in pietra scolpita, provenienti forse dalla chiesa medievale, su una nicchia invece è presente un'affresco seicentesco di una Madonna con Bambino. Sempre su questa parte si trova una lapide con lo stemma degli Acquaviva, che ricorda l'erezione di un pozzo da parte di Giosia Acquaviva, databile nel periodo post 1459, dopo che il nobile era stato eletto come Signore di Teramo. L'unica parte visitabile del convento è la stanza dove si trova la ruota, raggiungibile attraverso il portale alla destra della chiesa, qui un tempo era possibile conferire i neonati alla cura delle suore. Oggi invece si possono scambiare col monastero altri beni come i dolci, posandoli sulla ruota e suonando la tradizionale campanella. Al contrario delle sobrie linee esterne, l'interno della chiesa è riccamente impreziosito da stucchi e decorazioni di gusto barocco, l'aula si estende in un'unica navata, sul fondo vi è l'altare principale, lungo le pareti laterali invece ce ne sono altri quattro. Entrando ci si ritrova sotto l'elegante cantoria, realizzata sopra una struttura a volte, sorretta da quattro colonne dipinte e con i capitelli dorati. La balaustra, a protezione della cantoria, ha un profilo con linee spezzate, nella parte superiore sono affisse delle grate per nascondere il coro delle monache. L'interno, come già detto, è di chiaro gusto barocco, l'aula rettangolare e piuttosto ridotta, viene ingentilita da un soffitto con una volta ribassata, stucchi alle pareti, sugli altari e da una colorazione dal bianco a due toni di rosa. Si rimane subito affascinati dalla ricchezza dell'altare centrale, si nota la singolare apertura nella parte bassa, dove si vede il tabernacolo, che mette in comunicazione il coro delle suore, nascosto dietro l'altare e separato da una cancellata con il resto della chiesa. Molto ricco è l'apparato decorativo dell'opera, che va ad occupare quasi l'intera parete, nella nicchia centrale vi è la statua di Santa Chiara del 1953, scolpita da Umberto Bartali di Firenze. La nicchia ha due colonne ai lati che sorreggono un'architrave, un abbozzo di timpano lascia spazio ad un finestrone con grata in legno, che come il tabernacolo, comunica con il coro delle monache. Durante la creazione dell'apertura, vengono sacrificati gli spazi che contenevano l'urna con le reliquie Sant'Ercolano, caro alla popolazione, che furono spostate nella cantoria insieme alle spoglie di San Massimo, provenienti dalla chiesa di Sant'Agostino. Ai lati della nicchia si trovano altre due file di colonne, nell'ultima si aggrappano le due statue di San Giovanni Battista ed Evangelista, insieme ad altrettanti angeli. Due vistose cornici partono dal lato per raggiungere il centro in corrispondenza della finestrella, singolare è la fascia dipinta in finto marmo che spezza la tonalità dell'altare. In alto vi è un medaglione, inserito in una scenografia angelica, dove è rappresentata l'Immacolata Concezione al quale è dedicato l'altare, i due medaglioni ai lati sono sorretti da angeli e raffigurano scene di tipo religioso. Gli altari laterali sono divisibili in due gruppi: quelli più vicini all'altare centrale sono piuttosto elaborati, soprattutto le colonne laterali e presentano un baldacchino in legno dipinto, posto al di sopra ognuno; i due più periferici invece, sono meno decorati e lasciano spazio a singolari sviluppi architettonici. Il primo sul lato sinistro è quello dedicato alla Madonna delle Grazie, costruito nel 1646, al centro vi è la seicentesca statua in cartapesta della santa titolare. Ai lati vi sono le immagini di Sant'Alessio e San Giacomo. In alto c'è l'"Incoronazione di Sant'Agnese con Santa Chiara", realizzata nel 1856 dal pittore Teramano Gennaro della Monica, contenuto fra due colonne tortili che sorreggono una cornice decorata, al di sopra si conclude con diverse figure angeliche. Il secondo altare a sinistra, è invece intitolato alla Madonna Addolorata e risale alla prima parte del XVIII secolo, la nicchia vetrata mostra una statua vestita, il medaglione nella parte alta raffigura il Beato Rodolfo Acquaviva, ancora sopra un quadro della "Madonna Bambina con Sant'Anna e San Gioacchino". Il primo altare a destra è detto dei "Tre Santi" e risale al 1650, contiene il dipinto di Santo Stefano, San Lorenzo e San Pietro da Verona, attribuibile alla Scuola degli Illuminati di Bologna, nelle tavolette in basso vi sono le due figure dell'Annunciazione. L'ultimo è invece, quello di San Gaetano da Thiene del 1766, viene eretto su un altare precedente, da parte di due monache del convento, contiene una copia di un quadro di Guido Reni, realizzata dalla bottega di Francesco de Mura, della "Madonna adorata da San Gaetano", differendo dall'originale solo per il colore delle vesti del santo. A causa della cattiva doratura originale, venne nuovamente dorato nella prima parte del XIX secolo, in alto vi è un'epigrafe che ricorda le due monache: Suor Cecilia da Fermo e Suor Maria Maddalena "Turca". La lapide murata nella parete destra è dedicata al parroco di San Nicola, arcidiacono del Capitolo della Cattedrale e Vicario generale della diocesi: Don Tracanna, che venne qui sepolto nel 1968 per aver avuto cura delle clarisse e del loro convento. Le vetrate delle due finestre e quella del finestrone in facciata, sono della vetreria Camper di Atri, le aperture con inferriata che si aprono in alto sulla parete destra invece, sono comunicanti con il convento. Una tradizione religiosa del luogo vuole che ogni processione passi per il convento, per far partecipare anche le monache che non possono uscire per il voto di clausura.

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