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Grazioso centro a cavallo tra i fiumi Tordino e Vomano, a poca distanza dalla costa, immersa tra basse colline vocate all'agricoltura. Il toponimo piuttosto comune deriva da una particolare conformazione del terreno, ricco di cumuli di pietrame.
Le prime documentazioni che ne trattano risalgono al 1021 quando il Conte De Aprutio Adalberto dona all'abbazia di Montecassino dei possessi di "Muro" e del suo castello. Poco più tardi si profilano all'orizzonte le armate normanne che occuperanno il teramano nel 1077 e nel catalogo dei feudatari a loro soggetti si cita come signore di Morro il barone Trasmondo di Castelvecchio che sul finire del XII secolo, con l'arrivo di Enrico VI in Italia, spartirà la propria fortuna con i potenti Acquaviva che nel secolo successivo cominceranno a costruire la futura signoria. Nel 1270 Carlo d'Angiò dona il feudo di Morro, forse solo una quota, ad un suo vassallo Lucio de Dura ma, nove anni dopo, anche Matteo d'Acquaviva dichiarando davanti al Giustiziere d'Abruzzo tutti i suoi possessi, tra questi cita anche parte di Morro d'Oro.
Il castello, venne scelto dalla famiglia degli Acquaviva come residenza durante il XIV secolo ed i suoi esponenti verranno definiti "Signori di Morro", nel 1320 partecipa agli scontri per le successioni acquavivane nella marca ascolana. Sul finire del secolo, gli Acquaviva vengono insigniti del titolo ducale con Antonio, già conte di San Flaviano, sebbene egli preferirà sempre anteporre il titolo di Signore di Morro e con il figlio Andrea Matteo nel 1395 cominceranno a fregiarsi del titolo di Duchi d'Atri. Spesso al centro delle vicende della famiglia durante tutto il XIV secolo si ricorda un trattato di pace sottoscritto tra Teramani e Atriani nel 1379, firmato in paese grazie ad Antonio Acquaviva, mediatore della pacificazione, in seguito il paese sarà anche ricordato per vicende più macabre. Durante lo scontro tra gli Acquaviva e la famiglia Melatino di Teramo agli inizi del XV secolo, vengono catturati da Giosia e Pier Bonifacio Acquaviva i teramani Roberto, Enrico, Cola e Gentile Melatino, rei di aver ucciso Andrea Matteo: portati a Morro saranno bardati come animali quindi arrostiti e squartati per vendetta. Con il bellicoso Giosia dopo esser stato sconfitto militarmente da Francesco Sforza, si vedono i suoi territori dal Tronto al Vomano, occupati dal condottiero dal 1438 e il 1446, a seguito dell'intervento dall'aragonese Re di Napoli. Nel corso del XV e del XVI secolo la politica ducale, durante le varie lotte per la successione al trono napoletano, a volte mise nei guai lo stato atriano che viene preso nel 1461 da Matteo da Capua e nel 1504 viene invece ceduto ai Colonna fino al 1507; nei periodi successivi la situazione si farà più stabile. Nel 1760 muore l'ultimo erede della famiglia Acquaviva e lo stato di Atri passerà sotto le dirette dipendenze della corona napoletana.
La rivoluzione portata dai soldati francesi arrivò anche nel Regno di Napoli, Napoleone decise nel 1806 di investire della corona napoletana suo cognato Gioacchino Murat il quale avviò una serie di riforme territoriali e quindi l'università di Morro sarà aggregata al governo di Notaresco. Nel 1808 torna municipio autonomo, negli anni successivi si registra la presenza della società segreta della Carboneria e contemporaneamente anche un'impennata di episodi di brigantaggio nel territorio. Con l'Italia unita nel 1863, viene cambiato con decreto Regio il nome al paese per evitare di confonderlo con altre località omonime del nuovo regno e, prendendo spunto dalla fertilità e dalla ricchezza dei terreni, verrà rinominato "Morro d'Oro".
Dolcemente adagiato sul culmine di un crinale, con un lato eroso dai calanchi ad occidente, un piccolo bosco a settentrione, mentre il resto del territorio scende dall'incasato, si compone di variopinti terreni agricoli che degradano fino al Vomano. Il complesso abitato è diviso in due parti, il borgo dove spicca la grande chiesa dei Santi Salvatore e Nicola affiancata da una larga strada che, attraversata la grande piazza antistante la cinta muraria, si restringe per imbucarsi all'interno dell'Arco del Popolo. Oltrepassata la porta si entra nell'incasato e su un sistema di piccole piazze, davanti a noi si scorge la chiesa di Sant'Antonio ed i resti del palazzo degli Acquaviva, ormai ridotto al solo muro perimetrale. Una via parte di fronte alla chiesa e si addentra tra le case antiche, un passaggio coperto ci permette di notare un'elegante palazzo rinascimentale. Proseguendo si incrocia Via Foresta che taglia in due il castello percorrendolo dal basso verso l'alto. Poco oltre, un altro passaggio coperto ci introduce ad una piccola piazzetta dove si può sbirciare la torretta medievale che fa capolino, avanzando ci si ritrova sotto l'alto serbatorio dell'acquedotto e il perimetro massiccio del palazzo dei duchi. Scendendo verso la parte bassa le vie si fanno più strette con le porticine delle case raggiungibili da piccole scalinate che si sovrappongo alla strada, usciti dal dedalo ci si trova ai piedi del paese, su un'interessante terrazza che dà sui calanchi.
Non dimentichiamo un piccolo giro delle mura sia per poter ammirare meglio la torretta, sia per godere dei panorami che si scorgono tra la vegetazione e infine tornare alla piazza principale del paese che conclude questa piacevole visita.

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