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Antica opera di stoccaggio di epoca romana, ancora visitabile.
Si trovano oggi nel basamento del palazzo comunale e l'esterno, costituito in malta cementizia, è visibile oltrepassato l'arco dell'edificio della Sottoprefettura, che chiude la parte alta della centrale Piazza del Popolo a Fermo. Facevano parte del complesso sistema di captazione e di stoccaggio delle acque della città, eretto verosimilmente nel periodo augusteo e comprendente delle cisterne minori sulla cima del Girfalco, oggi sottosuolo dell'abside della cattedrale, le piccole cisterne più in basso e quelle grandi ancora più sotto. Quando era in uso la cisterna, era servita da diverse sorgenti che venivano intercettate e qui convogliate per essere distribuite alla popolazione da aperture nel soffitto, non si registra la presenza di canali d'uscita e quindi non alimentava altre opere. Cadute in disuso durante le epoche barbariche, perderanno la loro funzione idraulica e verranno riutilizzate con altri scopi a partire dal medioevo, quando saranno aperte la porta e le finestre dell'attuale ingresso ed un collegamento con il sovrastante palazzo.
Nel XIV secolo gli viene costruito sopra il convento dei monaci apostoliti, mentre a partire dal XVI secolo e fino al XIX, vengono utilizzate come carceri del palazzo comunale, che un tempo ospitava il palazzo di giustizia e del governatore pontificio. Viene ristrutturata ancora nel secondo dopoguerra e dal 1957, è adibita a deposito archeologico delle collezioni comunali; viene anche utilizzata come spazio espositivo.
Vi si accede da Piazza Calzecchi Onesti, separata da piazza del Popolo dal grande portale; una volta oltrepassato si noteranno sulla destra le antiche mura con l'ingresso per le cisterne. L'ambiente è di pianta rettangolare con i lati di circa 28 e 12 metri e mezzo, suddiviso in sei sezioni, separate da una fila di arcate in mattoni e coperte da una volta a botte, alta quasi cinque metri. Interessanti sono le tracce del legname, utilizzate dai romani per armare la copertura. L'opera è realizzata in "Opus Caementicium", con pietre arrotondate di varie dimensioni e pietrame vario, legati insieme da abbondante malta cementizia, più grandi per le pareti, di dimensioni minori per il pavimento. L'archeologo Gaetano de Minicis, vissuto nel XVIII secolo, sosteneva che l'ambiente fosse rivestito da uno strato impermeabilizzante realizzato in "Opus Signinum" o cocciopesto, del quale non ne rimane alcuna traccia, forse perché asportato nei restauri del secondo dopoguerra.

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