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Principale delle frazioni di Sant'Omero, sorge sopra una dolce collina a meridione del fiume Salino, posta tra il capoluogo e le ultime alture prima della linea costiera.
Il nome forse potrebbe derivare dal nome del proprietario del sito, oppure per la presenza di piante di gelso, chiamate anche "moro". Si sostiene anche che sia un diminutivo di "Sancto Morus", nome antico di Sant'Omero, che ne sottolineava le piccole dimensioni. Sconosciute sono le precise origini, sicuramente sono legati alla vicina chiesa scomparsa di San Lorenzo in Salino, uno dei numerosi monasteri presenti nella zona. Questo faceva capo alla congregazione benedettina dell'abbazia di San Giovanni in Venere, e nei primi documenti il primitivo castello era compreso tra i suoi beni. Probabilmente il centro si viene a formare nel XI secolo, forse dopo la fondazione di San Lorenzo, per proteggere ed alloggiare i coloni sottoposti al monastero. La prima citazione scritta risale al periodo normanno, risulta tra i feudi registrati nel "Catalogus Baronum", redatto tra 1150 e 1168. Vi si legge che il castello è possesso dell'abate Benedetto di San Giovanni in Venere, morto nel 1154. Da qui seguiranno una serie di riconferme all'istituto monastico, che si succederanno per tutto il secolo. Nel 1176 è anche Papa Alessandro III a riconoscergli il feudo, rinnovando le volontà dei suoi predecessori, l'imperatore Enrico VI di Svevia fa lo stesso nel 1195, riprendendo i precedenti privilegi conferiti dai re normanni, includendo anche una chiesa dedicata a Santo Stefano. L'ultima riconferma all'abbazia avviene nel 1204 per mezzo di Papa Innocenzo III. Se ne perdono le tracce per mezzo secolo, nel frattempo nel regno di Napoli si era avviata la guerra di successione tra Svevi e Angioini. Ricompare nel 1254 quando il Papa concede agli abitanti del castello, di risiedere nello scomparso castello di San Flaviano, oggi divenuto Giulianova, dove si erano trasferiti nelle ultime fasi del dominio svevo. Dopo la definitiva vittoria angioina, nel 1273 viene creato il Giustizierato d'Abruzzo, che amministrava la legge nei territori al di sopra del fiume Pescara, fino ai confini con gli Stati Pontifici. A partire dallo stesso anno si nota che il feudo è stato concesso, dall'abate di San Giovanni in Venere, a Bartolomeo il Grosso di Bellante ed a sua moglie, che devono prestare giuramento davanti al prelato. Nei registri feudali angioini compare tre anni più tardi Gualtieri d'Acquaviva, genero di Bartolomeo il Grosso, a rispondere per la popolazione del castello. La famiglia Acquaviva in quel periodo era in ascesa, grazie alle sue ricchezze ed a una politica matrimoniale, stava ritagliandosi un grande feudo ai confini settentrionali del Regno di Napoli. Nel 1306 insieme a molti altri centri della zona, partecipa alle riparazioni della fortezza di Civitella, nel 1320 è inscritta ai registri delle tasse del Regno. Rimaneva l'ingerenza sul feudo dell'abbazia di San Giovanni in Venere, nel 1329 l'abate infatti paga al Re l'esenzione per il contributo militare, detta "Adoa". Nel 1355 inoltre l'abate rivendica la giurisdizione di Poggio Morello, forse scontrandosi con gli Acquaviva. Nel 1390, con l'incoronazione di Ladislao d'Angiò, gli Acquaviva consolidano il loro potere valendosi delle parentele con il Re. Tre anni più tardi con Andrea Matteo, ascendono al titolo di duchi con l'acquisizione di Atri e Teramo. Nel 1417 il feudo è ancora possesso degli abati di San Giovanni, nel 1424 viene confermato ad Andrea Matteo II Acquaviva. Durante il quattrocento il castello rimane piuttosto piccolo, verso la metà del secolo conta solo un centinaio di anime. Nel 1435 intanto scoppiano nel regno le guerre di successione, tra angioini e aragonesi. Ne approfitta Francesco Sforza che sconfitti gli Acquaviva, capeggiati da Giosia che sosteneva la fazione angioina, entra brevemente in possesso dei territori ducali a Nord del Vomano. Nel 1462 i territori acquavivani passano per poco tempo a Matteo di Capua, nel 1468 è segnato sui registri delle tasse aragonesi. Anche gli istituti religiosi erano finiti in mano ai duchi, che presentavano i nomi dei priori e degli abati, all'approvazione delle autorità diocesane. Andrea Matteo III Acquaviva nel 1481 sale a capo della famiglia, partecipa nel alla "Congiura dei Baroni" perdendo tutti i suoi beni, che nel 1504 passano a Prospero colonna. Nel 1506 i feudi ritornano agli Acquaviva, ma dopo una serie di congiure contro il Re, perdono nuovamente le loro proprietà. Giovanni Antonio Donato Acquaviva riesce a ricomporre i patrimoni famigliari, nel 1530 riottiene la baronia atriana con Poggio Morello. Nel frattempo il feudo era stato scorporato per pagare le dote a Dorotea Gonzaga, moglie di Giovanni Francesco morto prematuramente. Viene quindi compreso nel Marchesato di Bellante che comprende anche Sant'Omero, Corropoli e Tortoreto, nel 1541 Dorotea lo dona al nipote Baldassarre Acquaviva. Nello stesso secolo si vede la fine dell'abbazia di San Giovanni in Venere che nel 1585 dipendeva da Santa Maria in Vallicella di Roma per volontà di Sisto V. La situazione muta nel 1624 quando i vari benefici sulla parrocchia del castello passano sotto il controllo del vescovo di Teramo, pagando un canone annuo alla chiesa romana. Durante la prima parte del XVII secolo si fondano le confraternite anche nel castello, nel 1632 abbiamo anche notizie sulla guarnigione, composta da sette soldati. Nel 1634 l'arcivescovo Giuseppe Acquaviva è costretto a vendere diverse proprietà famigliari per coprire i suoi debiti, anche Poggio Morello che passa al principe di Roccadaspide, Francesco Filomarino. Questi però non manifesta interesse per l'acquisto e nel 1639 lo vende insieme a Sant'Omero a Diego Alarcon Mendoza, già marchese della Valle Siciliana a ridosso delle pendici orientali del Gran Sasso, con capoluogo a Tossicia. Sotto il marchesato viene avviato un processo di riforma agraria che permetteva un certo guadagno al proprietario; nel 1633 si registra l'erezione della chiesa di Sant'Antonio. Nel 1806 vengono destituiti tutti i vincoli feudali, quindi Poggio Morello diventa un'entità distinta con a capo l'Università. L'anno seguente viene sottoposto al governo di Bellante, perdendo così la sua autonomia, poi nel 1811 diventa frazione di Sant'Omero. Da allora segue le sue sorti che dopo l'unità d'Italia, viene compreso nella Provincia di Teramo.
Le numerose ristrutturazioni che si sono succedute nel corso dei tempi, hanno quasi sconvolto l'impianto castellano, del quale rimangono ancora solo poche tracce. Si sale al paese distaccandosi dalla provinciale a nord dell'abitato, da li si attraversa una serie di abitazioni per lo più moderne, fino ad arrivare ad una piccola piazzetta, dove svetta la mole di Palazzo Striglioni. Si può scendere sul lato del complesso fino a giungere a cospetto dei resti Porta da Borea, che un tempo permetteva di oltrepassare la cinta muraria posta a difesa del castello. Entrando si percorre una scalinata che si insinua tra le piccole e antiche case, si raggiunge quindi la piazzetta alta, al fianco della parrocchiale di Santa Lucia, dove da una balconata si può scorgere, oltre al bel panorama, un palazzo settecentesco eretto a ridosso delle mura. Su un angolo della piazza si trova un piccolo e scenografico passaggio coperto, che imboccato scende tramite una scalinata fino alla circonvallazione, alla base delle mura. L'altra via che si incunea tra le case, porta nell'altra piazza del castello, più ampia rispetto all'altra, che scendendo mano a mano si restringe trasformandosi in una via, uscendo dal circuito murario. Si consiglia anche di fare un giro della circonvallazione, dove si scorgono ancora i rimasugli delle strutture medievali.

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