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Splendido esempio di rocca medievale, è giunta ben conservata fino ai giorni nostri con la sua poderosa torre merlata. Secondo alcune interpretazioni la prima fortificazione sarebbe stata costruita dai longobardi che, nel VI-VII secolo, si insediarono nei pressi del colle di Monte Varmine in un luogo dove era facile controllare l'area. Dalle consultazioni dei radi documenti che testimoniano gli inizi della rocca, si sa che nel 1060 viene donata al vescovo di Fermo Oldarico dai proprietari Ardengo ed Elpezone. Se ne perdono le memorie fino al 1199, quando il podestà di Fermo, che ricopriva anche la carica di vicario vescovile, per i suoi meriti viene premiato da papa Innocenzo III con possedimenti di Monte Varmine e Carassai. Nel XIII secolo, grazie all'importante figura di Gerardo da Massa, vescovo e contemporaneamente podestà di Fermo, ci fu l'atto di sottomissione di Montevarmine alla città fermana, poco dopo anche ai castelli limitrofi di Camporo e Monte Cucco toccherà la stessa sorte. In questo frangente la potente famiglia dei Da Massa, già proprietaria di Camporo, entrò in possesso anche della rocca e dei territori di Montecucco. Nel XIV secolo invece la si ritrova come possesso della famiglia Ameli, sempre originaria di Massa Fermana, forte sostenitrice della politica ghibellina, in un periodo dove gli attriti tra il papato trasferitosi in Francia e la rivalsa delle autonomie locali degli stati pontifici, sobillati dall'imperatore germanico, diventavano cruenti. Fu così che l'ennesima spedizione guelfa contro i castelli filo-ghibellini portò, tra il 1306-10, alla distruzione del castello di Montevarmine; nel 1325 viene anche investito da un altro funesto passaggio: quello delle truppe papali che andavano a radere al suolo Camporo e Carassai. Nel 1341 verrà nuovamente ceduta a Fermo e con l'avvento della signoria di Gentile da Mogliano passerà nelle sue mani, fino all'arrivo del cardinale Albornoz, mandato dal Papa a recuperare i territori dello stato ecclesiastico nel 1353. Si nota dai documenti dell'epoca che la rocca si era schierata contro Gentile da Mogliano non subendo punizioni dal pontefice, in seguito, nel 1376, rinnoverà i suoi trattati con Fermo. Dopo la lunga signoria sul castello della famiglia Ameli, subentrò Matteo Mattei dei Fucinari, ricco possidente fermano che nel 1396 era a pieno titolo possessore di tutta la rocca. Il nuovo proprietario restaurò la fortificazione ma, rimasto senza eredi, cederà tutti i suoi beni alla "Fraternita" dell'ospedale di Santa Maria della Carità a Fermo, che nel 1417 ne prenderà possesso. Rimarrà proprietà della confraternita, successivamente chiamata "Brefotrofio" fino a qualche decennio fa, quando con la chiusura dell'ente passa al comune di Fermo, l'attuale proprietario.
Trasformata in fattoria, mano a mano perde gli aspetti fortificati; oggi la troviamo adagiata sulla a sommità pianeggiante di un colle boscoso e nonostante le ingiurie del tempo ci appare ancora piuttosto integra con la sua svettante torre merlata. L'ingresso avviene attualmente attraverso un accesso edificato nelle mura occidentali, mentre un tempo si entrava passando per un porta fortificata che si apriva nell'angolo sud-est, trasformata successivamente in abitazione ma che conserva al piano terra i resti delle opere di difesa. Il forte di forma vagamente quadrangolare era difeso sugli angoli da finte torrette ed è raccolto intorno alla piazza, centro delle attività militari e civili; qui svettano il torrione, che occupa la parte centrale della rocca, e le altre strutture castellane. Anche la chiesa di San Pietro, di origine settecentesca si apre sul cortile interno, mentre una scalinata che si arrampica sul fianco della torre raggiunge gli appartamenti nobili della rocca. Si dice che fu rinvenuta nel 1841 una piccola bombarda in ferro battuto detta "manesca" (poiché si impugnava a mano), oggi dispersa, rendendo impossibile confermare l'accaduto. Lesionato dagli ultimi terremoti, quello del 1997 e quelli recenti del 2016, il complesso parzialmente restaurato risulta inagibile e non visitabile, da tempo attende in rovina un meritevole rilancio.

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