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La chiesa dedicata alla Madonna Assunta in Cielo, risulta tra le più importanti del comprensorio di Montecalvo.
Conosciuta con diversi nomi: Santa Maria del Colle, delle Conche, di Montecalvo o di Villa Corno, secondo alcune versioni, antico nome dell'attuale frazione di Poggio Farno. Scarse sono le notizie e lacunosa è la storia, non si è certi della sua origine, potrebbe forse avere origini antiche, sorta per opera dei monaci farfensi, presenti nell'area. Se ne hanno notizie però solo dal il XVI secolo, si pensa quindi che sia stata eretta durante il vescovado ascolano di Girolamo Ghinucci, avvenuto tra il 1512 ed il 1518. Si sa che sempre nel XVI secolo, era stata soggetta a restauri, nel 1526 avviene la costruzione del portale e la realizzazione dalla cappellina laterale, con un bel baldacchino gotico rinascimentale. Nel 1535 tale Bernardino Frascisci, che aveva probabilmente fatto erigere la cappella, lascia dei fondi per affrescarla, mentre sul sepolcro del figlio, viene fatto erigere un altare da Pierangelo Cole di Villa Corno. Altre notizie arrivano nel 1569, quando ricompare la presenza dei monaci di Farfa, che si alterneranno alla diocesi ascolana, nella cura della chiesa. In quel periodo Era retta da un membro della famiglia dei Falconieri, nobile famiglia ascolana ed officiata da un cappellano, ordinato dal Priore farfense di Offida. Nel XVII secolo, viene costruita un'altra cappella, dedicata alla Vergine del Rosario, dal pievano di San Martino. Agli inizi del XVII secolo, i farfensi si riaffacciano nella zona, riprendendo il controllo delle chiese che 600 anni prima aveva posseduto, si scontreranno col vescovo ma portando la causa direttamente alla santa sede, dopo diversi anni riescono a riottenere parte dei beni perduti. La chiesa di Santa Maria del Colle è tra queste, insieme a quella di San Gregorio nel centro omonimo e di San Pietro a Fleno, comprese nella sua parrocchia. I farfensi saranno allontanati nel 1747, quando Benedetto XIV per fermare l'espansione dell'abbazia, passa le parrocchie alla giurisdizione del vescovo ascolano, lasciando ai monaci solo una proprietà simbolica, soddisfatta attraverso la donazione di cera bianca. Viene devastata dalle truppe piemontesi, che incendiano anche la sagrestia, durante la guerriglia che nel 1860, scatenata dal processo unitario d'Italia, guidata soprattutto dai parroci della zona, fedeli allo stato pontificio. Nel 1862 tra le documentazioni della diocesi c'è la lettera del parroco al vescovo, dove si lamentava che le rendite della parrocchia, erano riscosse dai funzionari del nuovo Regno d'Italia. Inoltre, constata lo stato pietoso in cui si erano ridotte la chiesa e le altre cappelle, dopo la violenta repressione piemontese. L'edificio viene quindi restaurato l'anno successivo. Nel XX secolo inizia una fase di decadenza, dovuta all'emigrazione dai centri montani che spopola l'area; nel 1988 la parrocchia viene soppressa ed incorporata a quella di San Martino, ridotta ormai in stato di degrado, viene risistemata solo nel 2005.
Si potrebbe definire una delle chiese più interessanti del territorio del Montecalvo, in quanto sia gli interni che gli esterni si sono ben conservati. Si trova sul limitare del ripido crinale del Castellano, davanti al pianoro che si stende sotto la frazione di Poggio Farno. Costruita in pietra arenacea tipica della zona, ha una semplice pianta rettangolare e l'ingresso è aperto sul lato della navata. Già dalla prima vista si notano alcune particolarità: il portale rinascimentale e la piccola nicchia, forse un altare esterno, ricavato dallo spessore del muro. L'ingresso è circondato da una serie di cornici, con motivi decorativi e vegetali, sui suoi spazi vuoti compaiono figure geometriche, floreali ed alcuni volti, tra cui ne spiccano due con i lineamenti moreschi ed un altro di profilo, con copricapo ed un quadrifoglio in bocca. Al centro dell'architrave si trova uno scudo, al suo interno il trigramma di Cristo inscritto in un sole, tipico della tradizione di San Bernardino, sotto torna una testa di moro riccioluta. In basso, vi è una scritta che riporta l'anno di erezione e la committenza del portale, in alto invece, corre un cornicione lavorato. Sulla sinistra si notano alcune pietre scolpite, la prima riporta uno stemma dello Stato Pontificio, la seconda posta più in basso, mostra una tiara vescovile che separa una scritta di difficile lettura. La nicchia a lato invece, mostra una cornice di buona fattura lungo l'esterno dell'arcata, lo spazio interno presenta tracce di affreschi ora perduti, in basso due avanzi di mensole che reggevano la mensola alla base. Sull'angolo della facciata si notano i due campanili a vela, affiancati da spazi per altrettante campane, attualmente ancora presenti. Ai lati dell'edificio, ci sono due viottoli che raggiungono una piccola radura sul retro, dove si affacciano la sagrestia e la canonica. Se si presta attenzione sul muro sotto il campanile laterale, si può osservare una pietra con alcune figure geometriche scolpite, provenienti forse da un antico allestimento della chiesa. Entrati si nota subito il bell'altare in pietra lavorata sulla parete destra, che fa coppia con quello centrale posto sul fondo del presbiterio, altrettanto gradevole ma meno elaborato. Questi sono realizzati nel XVI secolo, probabilmente dalle stesse maestranze di origine lombarda, che hanno realizzato altari simili nel territorio acquasantano, come nella chiesa di San Lorenzo di Paggese, quella del Santissimo Crocefisso a Quintodecimo e dell'Immacolata Concezione a Pomaro. Più sobrio è l'altare centrale, si notano le due mensole che sorreggono la parte superiore scolpite a forma di civetta, in alto agli angoli si individuano dei semipilastri scanalati, un festone lungo l'arcata ed un cornicione nella parte sommitale. All'interno è contenuto un crocefisso ligneo, si rivelano comunque tracce di affreschi, che un tempo ornavano lo spazio ora imbiancato. Più fastoso ed elaborato è l'altare laterale, sempre con le civette scolpite a fare da mensola ma di diversa fattura, il baldacchino in alto è un susseguirsi di fregi e festoni, non lasciando alcuno spazio privo di decorazione. I pilastri ai lati si concludono in alto con un pinnacolo, separati da un cornicione molto elaborato, dove al centro si trova un timpano triangolare con una raffigurazione del Cristo Pantocratore. Al centro della parete, si apre una nicchia con la statua della titolare, alzando gli occhi sulla volta si vedono ancora tracce di affreschi; altre porzioni di affreschi sono tuttora visibili nel perimetro interno. Meglio conservati sono quelli sulla parete di fondo, risalenti al XVI secolo, si riscontrano alcune figure dipinte: da sinistra a destra un santo vescovo, un grande Sant'Antonio, un crocefisso sorretto da una figura in trono sotto la finestra, una Madonna con Bambino ed una Crocefissione con San Francesco e San Michele Arcangelo. Sulla parete di sinistra c'è un'altra teoria di santi di minor qualità e non in buono stato, si distingue una Madonna in trono ed un'altra figura analoga, affiancata da San Rocco ed un santo in abiti vescovili. Un altro San rocco si trova a lato dell'ingresso, affianco ad un dipinto con una grande cornice lignea e sopra la semplice fonte battesimale in pietra. La chiesa custodiva inoltre, un'opera in terracotta raffigurante la Madonna, commissionata da tale Bernardino Cole nel 1515, originariamente attribuita alla bottega di Silvestro Ariscola, mentre oggi viene anche collegata ad un altro artista, tale Saturnino Gatti. Negli anni venti del XX secolo, si riporta la notizia che la statua fu oggetto di un furto: il ladro fece una foto della statua per poi ricavarne una copia, sostituendola così all'originale. Un fedele che solitamente appoggiava il cappello sul trono della statua, si accorse che questo, invece di rimanervi come al solito, cadeva, perciò la cosa destò il suo interesse ed ispezionando la statua si accorse che era un falso. Ci si mise subito alla ricerca della refurtiva e forse, il ladro sentendosi braccato, farà ritrovare le quattro parti della statua tra la vegetazione nei pressi di Farno. L'opera venne restaurata e dal 1926 è attualmente visibile nella pinacoteca di Ascoli.

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