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Nato nel 1814 da una famiglia della borghesia agraria di Notaresco, con vasti possedimenti nella zona.
Studia prima al collegio di Teramo, poi ventenne si trasferisce a Napoli dove frequenta all'Università i corsi di scienze naturali, filosofia e diritto; uno dei suoi primi scritti è del 1836, riguarda "la nuova filosofia del "Reyer-Collard e del Cousin". Data la sua posizione sociale, i suoi interessi si spostarono sulle problematiche legate all'agricoltura, partecipa nel 1844 alla sesta "Riunione degli scienziati italiani" che si svolge a Milano. Impegnato nella sezione dedicata all'agronomia e tecnologia, la sua tesi viene giudicata una delle più innovative. Attivo anche in politica, viene eletto come rappresentante di Teramo alla "Assemblea Napoletana", convocata dal sovrano Ferdinando II durante le rivolte del 1848, si schiera con i moderati perché i deputati avrebbero dovuto giurare su una costituzione, che non aveva subito alcun cenno di miglioramento. Tra i firmatari della protesta contro l'intervento dei soldati, chiamati per intimare ai deputati scontenti, di lasciare la sala parlamentare napoletana. Dopo questi fatti nel luglio del 1848 Giuseppe fu nominato tra i delegati della "Assemblea", che doveva attuare modifiche e migliorie alla costituzione del Regno, i vari provvedimenti che con alcuni progressisti volevano adottare, incontrarono le ostilità della maggior parte della Camera, timorosa di una possibile prevaricazione governativa nei loro confronti. Personalità pragmatica abbracciò nel corso del 1849 un "moderatismo" che si esprimeva nella duplice convinzione che tutti i mali procedono dai movimenti incostituzionali e dalla mancanza di fiducia negli uomini del potere e ogni governo può adempiere nelle sue funzioni solo in quanto sostenuto dai rappresentanti eletti dal popolo.
Si batte strenuamente affinché la Camera, intervenisse contro le violazioni sistematiche della costituzione da parte del governo reazionario di Ferdinando II, ormai disilluso dall'esecutivo, fu tra coloro che negarono la facoltà di riscossione delle imposte fiscali. Nel marzo del 1849 il Parlamento napoletano fu sciolto e Giuseppe viene monitorato costantemente dalla polizia del regno come agitatore, prese la strada dell'esilio dimorando prima in Svizzera, poi a Parigi ed infine a Londra, dove studia economia. Restano sue memorie in Francia, mentre in Inghilterra apprende attentamente le tecniche ed i sistemi di conduzione agraria, si interessa anche delle forme di credito agricolo scozzesi, esperienze che gli saranno molto utili al suo ritorno in patria. Inoltre attraverso la conoscenza di Sir James Lacaita e di Antonio Panizzi, accademico esiliato a Londra, frequenta politici importanti come William Ewart Gladstone e John Russel. La colonia di esuli italiani a Londra era molto numerosa, quindi nel 1859 sostiene anche un comitato per raccogliere fondi, da destinare ai più bisognosi di loro. Dopo la caduta borbonica nel luglio del 1860 torna in Italia e dopo una breve sosta a Napoli, è a Torino con altri liberali meridionali, sostenendo al governo sabaudo, preoccupazioni circa la marcia di Garibaldi. Ritorna in Abruzzo dove nel novembre del 1860, è tra le personalità che accolgono il nuovo regnante d'Italia: Vittorio Emanuele II, nelle settimane seguenti viene chiamato a ricoprire la carica di Consigliere dei Lavori Pubblici.
Il ministro inglese Hudson che era a Torino in visita e Sir Lacaita da Londra, espressero giudizi poco lusinghieri sul governo e su De Vincenzi, che dopo queste esternazioni, rompe dell'amicizia con quest'ultimo. Eletto deputato nel primo parlamento italiano, nella circoscrizione di Atri, si schierò nelle file dei moderati, votando l'ordine del giorno Ricasoli che proponeva lo scioglimento dell'esercito garibaldino.
Prese a cuore l'ammodernamento dell'agricoltura, unito a quello delle infrastrutture, in special modo si appassiona alle ferrovie, e opera per il completamento in tempi rapidi, di una rete ferrata per congiungere la nuova nazione, già decenni prima scriveva delle grandi trasformazioni che avrebbero portato le ferrovie in Italia. Nel giugno del 1861 in qualità di deputato, interveniva sul completamento delle linea Firenze-Arezzo-Perugia, nel 1862 cercò anche di incentivarne di nuove, sopratutto nelle regioni del meridione, dove le comunicazioni erano precarie. Nel maggio del 1868 ottenne la carica di Senatore del Regno, fu impegnato in diverse commissioni economiche e ricopre la carica di ministro dei Lavori Pubblici per ben due volte. La prima nel 1867, chiamato del Presidente del Consiglio Bettino Ricasoli, dove sostituisce Stefano Jacini solo per un breve periodo, la seconda da Giovanni Lanza, uno dei più longevi governi del XIX secolo, dove subentra nell'agosto del 1871 a Giuseppe Gadda. Inizia subito provvedendo al trasferimento della capitale da Firenze a Roma, in seguito rinnova diverse convenzioni marittime e riforma l'amministrazione centrale del ministero, dividendo la sezione delle acque da quella delle strade. Stimola la la bonifica delle paludi nelle vicinanze di Napoli e cerca di migliorare i servizi postali e telegrafici. Tra le sue opere principali, ci fu l'imposizione di costruire strade in tutti i comuni italiani e la regolamentazione delle concessioni alle società ferroviarie. Sul finire del 1872 riceve un voto sfavorevole alla Camera dei Deputati, dove passa la preferenza di una linea diretta tra Roma e Napoli attraverso Gaeta, rispetto al miglioramento dell'esistente via di Cassino come proponeva De Vincenzi.
Nel 1873 si ritira nelle sue proprietà, ma non mancò mai di partecipare alle più importanti sedute del Senato sulle materie che gli interessavano, continuerà a battersi per una giusta mediazione sociale tra i lavoratori agrari e la classe patronale. Nel frattempo mise a coltivazione e bonificò gran parte delle sue proprietà abruzzesi, sostituendo la vite al grano. Nel maggio del 1885 tenne un discorso sui provvedimenti che le autorità avrebbero dovuto prendere dopo la presentazione dell'inchiesta agraria, proponendo il riordinamento dell'insegnamento dell'agricoltura ed una riforma del credito agrario. I suoi principi ispirarono la Società dei viticoltori italiani, fondata nel 1885 e la Società degli agricoltori italiani, a cui dette vita nel 1895 con altri imprenditori e della quale fu il primo presidente. Attivo fino alla fine dei suoi giorni, pose le sue attenzioni anche all'assetto bancario e sopratutto del credito agricolo, come testimonia una "Nota" all'Accedemia dei Georgofili di Roma del giugno del 1900.
Si spense a Napoli nell'aprile del 1903 e fu sepolto a Lucca nella cappella dei Mazzarosa, famiglia di cui un membro aveva sposato l'unica nipote ed erede. I suoi scritti sono raccolti nelle "Opere complete", stampate curate ed annotate da Giacinto Pannella, editate a Teramo tra il 1912 e il 1915.

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