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Originario della frazione di spelonga, culla della famiglia nobile dei Pichini.
Avviato alla carriera ecclesiastica, finisce per diventare parroco di San Martino di Montecalvo, nell'attuale comune di Acquasanta Terme. Entra nella storia con l'arrivo dell'Unità d'Italia nel 1860, quando gli eserciti piemontesi irrompono nelle vallate montane, fedeli agli Stati Pontifici. Tra gli animatori della prima ora della ribellione antiunitaria, guidata da Giovanni Piccioni. Collabora con Leopoldo Piccioni, figlio di Giovanni, Giammartino Faraotti di Fleno e si occupa soprattutto della gestione delle carceri di Montecalvo, localizzate a San Martino, qui verranno ospitati i soldati sabaudi catturati. Controverso è il suo operato come carceriere, non mancheranno le condanne a morte: due prigionieri dopo un tentativo di fuga saranno fucilati, stessa cosa accade per Mattia Massimi di Ronciglione, per aver sostenuto a parole la distruzione dei villaggi ribelli. All'arrivo del Generale Pinelli e della violenta repressione piemontese, il parroco non scappa. Si scopre che aveva rapporti epistolari e di amicizia con il militare, che si complimenta con lui per la gestione dei prigionieri.
Braccato però dalla Guardia Nazionale di Acquasanta, desiderosi di vendicarsi delle angherie subite dai ribelli, dopo una lunga caccia è costretto alla fuga a Roma nella primavera del 1861. L'anno seguente ad Ascoli si svolgono i processi contro il brigantaggio, Don Pichini viene condannato in contumacia a venti anni di lavori forzati, per aver partecipato alle rivolte e per aver rapinato, a mano armata, le famiglie dei Panichi di Pomaro e dei Caucci di Umito. Viene arrestato qualche tempo dopo la presa di Porta Pia, nel 1870, mentre si trovava nella chiesa di San Salvatore in Lauro, riferimento dei marchigiani a Roma. Da qui iniziano una lunga serie di processi, insieme a Leopoldo e Gregorio Piccioni, Vannarelli, Velenosi, Tosti, Cruciani e Faraotti nei tribunali di Ascoli, poi Ancona, Macerata, Torino e Pesaro. Viene condannato e sconta la pena a Milano, nel 1879 chiede al Re la grazia che gli viene negata, questo a causa della pessima fama con le autorità acquasantane. Viene scarcerato nel 1881 e torna a casa, qui lo aspetta Serafino Panichi esigendo il risarcimento dei danni subiti durante le rivolte.
In vecchiaia si ritira nella sua terra natale, spelonga, dove con molta probabilità muore.

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