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Importante fortezza a difesa del confine ascolano e delle strade che passavano dallo spartiacque del Tronto a quello del Tesino, sorta presso le pendici del monte dell'Ascensione.
Addossata a un dirupo, dal quale trae parte del nome, ha da sempre convissuto come altre realtà della zona con il fenomeno calanchifero che in passato ha anche sottratto alla comunità una porzione dell'abitato e la chiesa parrocchiale di Sant'Egidio, della quale rimane il bellissimo campanile.
Ripaberarda nasce in periodo altomedievale, il nome deriverebbe appunto dalla "Ripa", il ripido declivio franoso, e "Berardo", appellativo di origine germanica, del probabile proprietario dei terreni dove sarebbe sorto il castello, rimasto nascosto nelle ombre della storia. Si è provato a riconoscerlo nell'abate farfense Berardo da Orte ma nessuno dei territori o delle chiese più antiche del feudo ha mai fatto parte dei beni dell'abbazia di Farfa.
E' soprannominata dalle popolazioni limitrofe, fin dai tempi antichi, "La Troja" e, tra le diverse ipotesi sull'origine del nomignolo, la più fantasiosa rimane quella della fondazione da parte degli esuli della città distrutta dagli Achei nella tragedia di Omero. A sostegno di questa tesi parte della toponomastica del centro storico fu rinominata in base ai personaggi della Guerra di Troia; le altre ipotesi, decisamente più accreditabili vanno dall'incrocio di tre strade detto "Trojo", alla presenza sotto le mura del castello della Fonte Troiana, frequentata dalle greggi in transumanza.
Come già detto non si conoscono le origini precise del castello che probabilmente viene fondato tra VIII e XI secolo e appare negli atti del capoluogo piceno solo nel 1286 quando alcuni ripaberardesi chiedono la cittadinanza ascolana; prima di questa data la comunità era comunque già legata alla città, ma sempre governata da propri statuti che continueranno a regolarne la vita comunitaria.
Poco distante dall'abitato, verso nord, si trovava un altro castello, dove forse dimorava quel Berardo che da tanto si cerca di identificare.
Nel 1357 il cardinale Albornoz aveva risistemato la turbolenta situazione che si era creata nella Marca dopo la partenza del papato per Avignone: Ripaberarda viene riconfermata ad Ascoli che deve pagare per il possesso un canone annuo al governo pontificio e dagli atti si nota che il castello è terzo della lista per cifra sborsata, dietro Ascoli ed Appignano, quindi se ne deduce che fosse piuttosto prospero.
Dal XIII secolo il castello seguì le vicende storiche, nel bene e nel male, di Ascoli Piceno, dalle signorie dei Malatesta, dei Tibaldeschi, all'arrivo di Ladislao d'Angiò, passando per gli Acquaviva ed i Da Carrara fino agli Sforza per poi arrivare alla dittatura dei Guiderocchi ed infine, dopo la libertà ecclesiastica, al ritorno sotto il controllo della Santa Sede.
Degna di nota è la storica rivalità con il capoluogo Castignano che tra Medioevo e Rinascimento era perennemente in guerra con Ascoli, tesa a distaccarsi dal suo controllo e Ripaberarda si troverà spesso al centro degli scontri e delle provocazioni tanto che venne minacciata di gravi multe dagli ascolani nel 1488. Fu quasi sempre in prima linea contro i castignanesi, come nel 1535, quando fa da scorta fin dentro Castignano con diversi armati ai delegati ascolani che erano andati a prendere possesso del paese, venduto alla città da Papa Paolo III.
Nel 1510 avvenne la rovinosa frana che farà sprofondare gran parte dell'abitato, proprio mentre stavano iniziando i lavori per la costruzione del meraviglioso campanile di Sant'Egidio. Il paese si riorganizzò per rimediare alla perdita di alloggi e nel 1538 chiede ad Ascoli l'esenzione delle tasse per riampliare il castello. Nello stesso anno passa di qui Pacchiarotto, il braccio destro del brigante Marco Sciarra, devastando e incendiando alcune abitazioni. L'anno seguente Ripaberarda torna per alcuni anni sotto il possesso della Santa Sede, dopo che il commissario pontificio contro il brigantaggio, Niccolò Aringhelli, che era anche passato per il castello, era stato ferito da un agguato degli acquasantani nei pressi di Rionile. Qualche anno dopo scoppierà una diatriba con Porchiano per una questione di confini che sarà risolta dal governo ascolano nel 1549. Tra XVII e XVIII secolo si generano diversi attriti tra il castello e la città picena per via della comune pratica di rivendere la carica di podestà ad altri, pratica piuttosto diffusa all'epoca.
Con la nascita della Repubblica Romana nel 1808 per merito dei francesi che con Napoleone in testa avevano invaso lo stato Pontificio, si sciolgono tutti i vincoli feudali e Ripaberarda perde ogni autonomia e si ritrova insieme a Porchiano nel dipartimento del Tronto, nel cantone di Ascoli. La cacciata dei francesi e la seguente restaurazione nel 1816 portano il paese sotto il governo di Appignano, insieme a Castiglioni e ritorna autonoma nel 1833, ma dopo l'Unità d'Italia le piccole dimensioni e la povertà della popolazione la costrinsero a chiedere, nel 1863, l'annessione al comune di Castignano, cosa che avvenne con decreto Regio due anni più tardi.
Nonostante tutte le vicissitudini storiche è uno dei castelli meglio conservati dell'Ascolano, con le sue mura e le sue torri e la porta che ancora protegge l'accesso alle suggestive vie interne e alla piazza principale dove sorgeva la chiesa parrocchiale ora demolita.
Si arriva al paese solitamente seguendo la strada che sale dalla provinciale arrivando fino alla piazza principale costruita a ridosso delle mura dove si affaccia anche la chiesa di Santa Maria Assunta, da qui si procede sempre in salita entrando nella porta castellana che immette in un interessante passaggio coperto. Si sbuca proprio davanti alla piazza interna del paese ricavata sopra le spoglie della chiesa di Sant'Egidio dove svetta il magnifico campanile superstite. In breve tempo si percorrono tutte le vie del paese ma si raccomanda di scendere verso la piccola piazzetta triangolare dove sorgono alcuni interessanti edifici. Nella parte alta dell'incasato si trova la zona più antica dell'insediamento.
Meravigliosa è la terrazza che si affaccia sopra i calanchi dell'alta valle del Bretta che, formando numerose guglie e pinnacoli, si innalzano fino alle pendici del Monte dell'Ascensione che domina con la sua mole l'incasato.

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