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Innalzato sopra la media vallata del Tronto lungo il versante abruzzese della vallata, fino ad un passato non troppo lontano era il castello del Vescovo di Ascoli del quale ne era anche principe. Secondo le varie leggende che circondano il paese, esisteva un tempio nelle epoche antiche dedicato alla dea picena Ancaria che avrebbe dato più tardi il nome al paese anche se, più probabilmente, esso deriva dal nome del proprietario del fondo dove sorse il castello nell'alto medioevo. Spuntavano sopra il colle del primo incastellamento, tracce di strutture riconducibile all'epoca romana recuperate per la costruzione della chiesa di Santa Maria della Pace vecchia, della quale oggi rimane solo il campanile, che mostra alcune pietre antiche murate. Un'altra storia chiama in causa i carolingi Re Pipino e Lodovico che avrebbero distrutto il castello nel 793 poichè era stato conquistato dal longobardo duca di Benevento: Grimoaldo. Dopo la sconfitta dell'usurpatore, Carlo Magno dona i castelli di Ancarano, Garrufo al vescovo di Ascoli come alcuni avrebbero letto in un documento datato 800 mai trovato. Nonostante questa leggenda circoli ancora oggi come vera, è stata smentita da studi più approfonditi. Infatti gli storici hanno chiarito che è nata con dei falsi redatti tra XIII e XIV secolo; a farli dubitare sono le bolle imperiali che a partire dal 1137, con l'imperatore Lotario III, confermano il castello al porporato piceno. In queste si legge che il possesso agli ascolani era stato acquisito già al tempo di Berardo II, nominato nel 1045 alla guida della diocesi, così anche l'imperatore svevo Corrado III nel 1150 seguirà la linea dei predecessori. Nel mezzo erano arrivati i normanni che avevano spostato i confini del Regno di Puglia sul Tronto, includendo anche alcuni territori appartenenti agli stati pontifici che presto però furono presto restituiti al papato. Nel 1188 si legge che anche l'abbazia di Montecassino aveva dei beni nel castello poichè qeusti vengono confermati dal pontefice Clemente III all'abbazia di San Nicolò a Tordino. Altre notizie sono ricavate dalla storia della Fortezza di Civitella dove tra il 1240 ed il 1245 anche gli ancaranesi erano chiamati a contribuire al mantenimento del presidio militare, al tempo sotto il dominio ascolano. Qualche anno dopo, nel 1252, è il papato questa volta a confermare al vescovo tutti i beni che gli imperatori gli avevano precedentemente concesso, intanto infuria la lotta tra gli svevi ed il papato che passa anche per Ancarano e nel 1263 viene saccheggiato dai Saraceni di Nocera, truppe fedeli a Manfredi. Nel secolo successivo si assiste all'ascesa dei Malatesta alla signoria ascolana, chiamati per combattere la guerra contro i fermani nel 1349 e cacciato a furor di popolo qualche anno dopo a causa del suo governo dispotico. Sempre minacciati da Fermo gli ascolani inizieranno un processo di rafforzamento dei confini ripopolandone i castelli con le abbondanti popolazioni della montagna, per favorire la migrazione si applica l'esenzione delle tasse che come si legge nei registri del 1377, ne viene investita anche Ancarano. Arriva XV secolo che si apre con l'arrivo di Ladislao d'Angiò che nel suo sogno di unire l'Italia, incorpora la contea ascolana, prima vi insedia gli Acquaviva che malvisti dalla popolazione rivendono il feudo ai Da Carrara. Questi instaureranno una loro signoria nel piceno che continua anche dopo la morte di Ladislao avvenuta nel 1414 fino a quando il papato grazie al capitano Jacopo Caldora riesce a riconquistare la contea Ascolana, nel 1426 il condottiero passa anche in paese. Nel 1433 rientra nei possessi di Francesco Sforza che entrato nelle marche aveva ance sottomesso lo stato ascolano, dieci anni dopo le truppe aragonesi di Alfonso V arrivate per contrastarlo si accampano nel castello. Passata la parentesi sforzesca, il castello viene occupato per due volte dall'ascolano Giosia Saladini, fuoriuscito ghibellino braccato dalle truppe pontifice. Viene assediato nel 1456 da Giosia Acquaviva che stava creando problemi al confine ascolano in seguito, nel 1460 soggiorna in paese Alessandro Sforza a capo delle truppe aragonesi, durante la stipulazione della pace tra Ascoli e Giosia Acquaviva che sconfitto a Controguerra, prometteva di non infastidire più i castelli al confine, Ancarano compreso. Nel XVI secolo si registra la presenza degli ebrei in paese che grazie al permesso del vescovo, avevano diritto di aprire un banco di pegni ed una sinagoga nelle loro dimore. Il ferrarese Filos Roverella diventa vescovo di Ascoli e nel 1521 gli vengono riconosciuti i suoi possessi dal papa compreso il castello ancaranese, alla sua morte gli succede il fratello Lattanzio che farà presidiare il castello da 300 uomini durante la Guerra del Tronto del 1556. In quel frangente il paese sarà assediato per due giorni dal marchese di Trivico ma alla notizia dell'arrivo di un'esercito ascolano desiste, l'anno seguente invece sarà la volta il duca d'Alba, stavolta riuscendo a penetrare nel castello annientandone le fortificazioni, trucidando e catturando i difensori. Passata la scura parentesi nel 1556 vengono redatti gli statuti per volontà di Lattanzio Roverella, i porporati perderanno però potere nel 1585 quando il paese risulta occupato dai briganti e quindi il papato ne chiedeva la liberazione alle autorità ascolane. La situazione si farà tranquilla nel XVII secolo e si darà il via all'edificazione ed all'ampliamento di diverse strutture sacre, viene ornata la chiesa di Santa Maria della Pace, mentre il vescovo Donati di Correggio fonda la chiesa della Madonna della Misericordia. Nel 1622 gli acquaviva concedono il pascolo agli ancaranesi nelle loro terre a Torano per evitare di pagare il dazio per passare dalle sue frontiere; intanto continua l'opera di miglioramento con la costituzione di un monte frumentario. Nel 1671 si insediano anche i francescani nei pressi della Madonna della Misericordia che però abbandonano dopo pochi anni, nel settecento continuano le opere di abbellimento delle chiese e si restaurano quelle lesionate dal terremoto di inizio secolo, nel 1777 si ricostruisce anche il mulino. Grandi cambiamenti territoriali lo investiranno a partire dall'arrivo della rivoluzione francese anche in Italia che dichiara decaduto il governo pontificio e istituisce la breve parentesi della Repubblica Romana. Ancarano passa nel dipartimento del Tronto, sotto il cantone di Ascoli Piceno Rurale per poi ritornare sotto il papato fino all'arrivo di Napoleone quando nel 1808 lo annette nel suo impero fino alla restaurazione nel 1815. Diviene dunque parte della delegazione apostolica di Ascoli ma il Regno di Napoli iniziava a fare pressioni per annetterlo a sé, cosa che avverrà passata la parentesi rivoluzionaria del 1848. Infatti nel 1852 si stabiliranno i nuovi confini tra i due stati ed Ancarano ed altri territori verranno incorporati nel Regno Borbonico sebbene qualche tempo dopo sopraggiungerà l'unità d'Italia. Verrà quindi annesso alla nuova provincia di Teramo ma non senza proteste da parte degli abitanti che volevano ritornare ad essere governati dall'amministrazione ascolana ovviamente senza avere successo. Nel secondo dopoguerra rientra nel grande boom economico che si ebbe lungo la Val Vibrata favorito dalla Cassa del Mezzogiorno e grazie anche alla vicinanza con il capoluogo piceno e la sua zona industriale, evitano lo spopolamento che affligge altri centri. Attualmente è un bel paese abbastanza ben conservato dietro quello che rimane della sua cinta muraria dove si aggrappano alcuni bei palazzi, ancora vi si entra attraversando le caratteristiche porte fortificate. Solitamente si segue la strada davanti al palazzo comunale e si inizia a salire verso la terrazza panoramica dove è possibile ammirare la vallata del Tronto fino a scorgere Ascoli, qui si imbocca Porta da Monte e si penetra nel centro storico. Si può procedere costeggiando le mura percorrendo il corso del paese, dedicato ad Alessandro Spalazzi, oppure salire direttamente per il belvedere dedicato a Cecco d'Ascoli, nato molto probabilmente in paese. A prescindere dalla strada si arriva sempre alla piazza alta del paese dove si affacciano il palazzo del Podestà ed i resti del palazzo vescovile e della chiesa di Santa Maria della Pace, che occupavano gran parte dell'ampio spazio aperto; si vede anche la porta da Mare che è affiancata dalla moderna strada che esce dal paese dove si trova un gradevole parco.

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