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Comune ai confini settentrionali della provincia di Ascoli Piceno, in una posizione panoramica invidiabile.
Sorge sopra uno dei colli più alti del crinale tra i fiumi Aso e Tesino, dove l'orizzonte si allarga e la vista, arriva a lambire gran parte delle Marche e dell'Abruzzo, dai monti al mare. Controversa è l'origine del nome, sebbene nei primi documenti appare col nome di "Montem Novum" quindi Monte Nuovo. Secondo alcune fonti invece deriva da "Monte delle Nuove", quest'ultime intese come notizie, visto l'ampio campo visivo permesso dall'altura. Secondo altri perché sorto nei pressi della città perduta di Novana, costruita dai romani, scomparsa nelle nebbie della storia e mai più ritrovata. Per supportare la tesi, si constata la vicinanza con il santuario della Cuma, nelle dirimpettaie campagne di Monte Rinaldo, a Nord del fiume Aso. Si sono fatte varie ipotesi sulla sua collocazione, ma la mancanza di una scoperta ufficiale, fa cadere al momento anche l'ipotesi del nome. Diversi invece sono i ritrovamenti di epoca picena, nota è la necropoli ritrovata in contrada Colle Pigna, in parte esposta in paese nel museo dedicato; non mancano i rinvenimenti di epoca romana. Le origini dell'attuale abitato sono da ricondurre al medioevo, sappiamo che parte del territorio, rientra nei numerosi possessi di Longino di Azzone, nobile di Offida, donati all'abbazia farfense nel 1032. Non è chiara l'esistenza di un abitato nell'attuale posizione del paese, si sa che esiste nel secolo successivo. Infatti l'abate Berardo III, in carica dal 1099 al 1119, lo acquista da tale Zaccione, un vassallo dell'abbazia, insieme a Porchia, Patrignone e lo scomparso Monte Patrizio. Il centro rientra nei piani di espansione dei monaci, che puntano rafforzare i confini intorno a Santa Vittoria in Matenano, sede marchigiana dell'ordine. L'abate investe anche sul castello, ampliandolo e munendolo di una nuova cinta muraria. In questo periodo si trova compreso, nei beni amministrati dalla ricca abbazia di San Salvatore all'Aso, comprendenti anche i possedimenti di Montalto, Force e Venarotta, poi scomparsa alle soglie del XIII secolo. Oltre ai monaci, nel 1191 si nota anche la piccola presenza del vescovado fermano, quando tale Imperatrice, vedova di Rinaldo di Gualtiero, gli dona i suoi beni dentro e fuori il castello. Con l'arrivo di Re Enzo nel 1239, figlio dell'imperatore svevo Federico II, i ghibellini tentano di riportare la Marca ed il piceno sotto l'obbedienza imperiale. Si assedia anche lo stato farfense che tenta di opporsi con il suo esercito, guidato da Albertino di Alberto da Smerillo, della famiglia da Montepassillo. L'abate Matteo si rifugia nella meglio difendibile Force, dove nel 1240 subisce l'assedio degli eserciti imperiali, guidati da Rinaldo d'Acquaviva, che impiegano anche truppe saracene. Prima di avere la peggio, l'abate riesce a fuggire a Montedinove e poi ad Offida, incalzato dal nemico. Tradizione vuole che i montedinovesi riescono a resistere all'assedio, dedicando poi una delle porte, alla vittoria sugli imperiali. Il castello nel 1279 è oggetto di una controversia tra il comitato dei castelli ascolani e le autorità farfensi, data la posizione gli ascolani tentano più di una volta di annetterlo. Nel 1290 è ancora sottoposta ai monaci ed i religiosi del castello pagano le decime, una tassazione imposta dal papato, nella pieve farfense di Rovetino. Negli ultimi anni del XIII secolo, probabilmente raggiunge lo status di libero comune, ma già nel secolo successivo inizia a subire le mire espansionistiche di Ascoli. Questa cerca di spingere i confini del suo stato, lungo la vallata dell'Aso, complice l'indebolimento del potere abbaziale, stringendo alleanze con Montalto ed i castelli vicini. Montedinove è sottoposto al diretto controllo della santa sede, nel 1339 alcuni abitanti, aiutati da ascolani e montaltesi, pianificano di assalire il castello. Sono scoperti e condannati, gravi multe sono inflitte anche ai comuni partecipanti. Qualche anno dopo, il Cardinale Albornoz, viene inviato dal pontefice a sistemare i caotici stati pontifici, in vista di un suo ritorno dalla città francese di Avignone. Nel 1357 fa promulgare le "Costituzioni Egidiane", una raccolta di leggi che regolarizzano il governo nei capoluoghi, dove compare anche Montedinove, compreso tra le "Città Minori". Nel secolo successivo continuano gli attriti con Montalto, vi sono diverse scritture nei registri dell'abbazia di Santa Vittoria, che trattano dell'argomento. La prima è del 1420 e stabilisce i rapporti tra le due comunità, un'altra del 1463 è una sentenza a seguito di controversie, l'ultima per il XV secolo risale al 1488. Nel frattempo tra il 1443 ed il 1446, vive la dittatura di Francesco Sforza, Gonfaloniere della Chiesa che sottomette gran parte della Marca. Nel 1513 il comune deve inviare sotto la minaccia di una forte multa, venti soldati armati nella pianura di San Claudio al Chienti, per raggrupparsi con l'esercito pontificio. Nel 1571 rientra nella nuova diocesi di Ripatransone, voluta da Papa Pio V, costituita smembrando territori dalle diocesi di Fermo, Ascoli e Teramo, degli stati abbaziali di Campofilone e quello farfense. Ma nel 1585 viene eletto pontefice Sisto V, nato a Grottammare ma da famiglia montaltese, molto ben disposto a ricoprire di onori il suo territorio. Innalza Montalto a sede diocesana nel 1586, ristabilendo di fatto l'antico Presidato Farfense, sostituendolo col suo "Presidato Sistino", del quale Montedinove entra subito a far parte. Insieme a Porchia e Patrignone perde l'indipendenza, viene amministrata direttamente da Montalto. Il potere farfense ha fine nel 1632, quando il pontefice Urbano VIII, fa chiudere gli ultimi monasteri rimasti, compreso quello di Santa Maria de Cellis. I monaci vengono convertiti in canonici e le chiese in Collegiate. Nella primavera del 1743, il paese rientra negli scenari della guerra di successione austriaca, quando l'esercito spagnolo napoletano si ritira da Pesaro, inseguito dai cavalieri asburgici. Arrivato nelle Marche meridionali, si stanzia brevemente tra Falerone, Grottazzolina e Montedinove, vivendo sulle spalle della popolazione, saccheggiando ogni cosa. La situazione torna presto tranquilla, fino agli sconvolgimenti di fine secolo, con le conseguenze della rivoluzione francese che influenza anche gli stati pontifici. Nel 1798 vengono invasi dalle truppe repubblicane e dall'esercito d'oltralpe, costringendo il Papa alla fuga. Si instaura la "Repubblica Romana" e si aboliscono gli antichi ordinamenti, si rivoluziona anche l'amministrazione, ripristinando l'autonomia del paese. Viene quindi compreso nel "Cantone di Montalto", sottoposto al "Governo di Ascoli", parte del più ampio "Dipartimento del Tronto". L'esperimento repubblicano ha vita breve, l'anno seguente si vede il ritorno del pontefice, ripristinando il vecchio governo. In quell'anno in paese soggiorna l'abate francescano e scienziato Berardo Quartapelle, fuggito da Teramo all'arrivo dei francesi e dove rientra l'anno successivo. Nel 1808 Napoleone occupa ancora gli Stati Pontifici, cacciando nuovamente il Papa, tornano le amministrazioni repubblicane e si torna ancora sotto il Cantone di Montalto. Dopo la fase napoleonica nel 1816 si passa alla Restaurazione, vengono create le Delegazioni Apostoliche, una sorta di copia degli ordinamenti creati dai moti repubblicani. Entra quindi a far parte del "Distretto" e nel "Governo di Montalto", vi rimane anche dopo le riforme del 1833, rientrando infine nel Regno d'Italia nel 1860. Nel XX secolo si registra la nascita di Cino del Duca, famoso editore, imprenditore e filantropo, nonché benefattore del paese che gli dedica la piazza principale ed il campo sportivo. Durante il secondo conflitto mondiale, si registrano alcuni violenti episodi nel 1944, nelle contrade Franile e Dragone. Nel dopoguerra inizia lo spopolamento del paese, ormai stabilmente sotto la soglia dei 500 abitanti, è quindi tra i capoluoghi con meno residenti della provincia.
Si sale al centro storico di Montedinove, passando attraverso Borgo San Tommaso, posto lungo la strada che collega Rotella a Montalto, molto scenografica nell'ultimo tratto. Davanti al santuario francescano, c'è l'incrocio che raggiunge l'abitato, per strada si incontra un piccolo giardino, dove una siepe è potata a forma del nome del paese. Verso la fine del percorso, oltrepassato il campo sportivo, la strada si inizia ad allargare, separandosi a vari incroci. Il primo che si incontra sulla sinistra, scende affiancando la caratteristica fontana del Polesio, permettendo di accedere al borgo dalla medievale Porta della Vittoria, con l'adiacente dal sottopasso "de Martello". Scendendo ancora si oltrepassano gli orti di casa Poletti, ornata da arcate gotiche lavorate, fino alla passeggiata "Piè Castello" e proseguendo per le mura meridionali, con altri belle viste dei dintorni. Se all'incrocio della fonte del Polesio, si decide invece di salire, la strada si allarga ancora quasi a formare una piazza, si biforca poi ancora in prossimità di palazzo Ciarrocchi, sede museale e centro ricreativo. A destra un percorso alberato segue la cinta muraria settentrionale, facendo in parte il giro del paese per poi rientrarvi da oriente, nell'area della scomparsa porta dei Monti. L'ultima via sulla sinistra è corso Umberto I, principale asse viario del centro storico che, stretto fra due file di case, ha termine nella piazza principale. Si incontra all'inizio del tragitto la casa natale dei Del Duca, più avanti sulla destra c'è lo scenografico Ponte Giovannini, davanti un'altra via scende fino alla già citata Porta della Vittoria. Oltrepassata un'ultima strettoia, si entra infine nell'ampia piazza Del Duca, dominata dalla mole di Santa Maria de Cellis, con la sua balconata panoramica e la sottostante chiesa del Santissimo Crocifisso. Anche il Palazzo Comunale, col caratteristico loggiato, contribuisce alla monumentalità dell'ambiente. Dalla parte opposta si sale fino alla chiesa di San Lorenzo, con la sua singolare facciata, mentre su un lato spunta la piccola cappella del Santissimo Sacramento. Sulla destra una grande arcata permette di accedere ad una piazzetta dove si affacciano il convento e la chiesa di Santa Chiara, oggi sede museale. Dopo il sagrato di San Lorenzo, la strada si stringe ancora fino ad imboccare il ponte di Via Bora, imboccandolo si riscende, fino a ritornare all'inizio del corso. Davanti alla chiesa invece, si può imboccare una scalinata che sale fino alla parte più alta del paese, dove ci sono alcuni tra i maggiori palazzi del paese: Bustini, Pasqualini e Galizi, affacciati tutti su una piccola piazzetta. Si prosegue scendendo fino ad un'altra piccola piazzetta, dove c'è la storica casa detta dei "Sutores" e l'ottocentesco palazzo Del Duca-Gigli. Davanti si trova palazzo Melis e sulla sinistra, una piccola via raggiunge Lo Spiazzo, il belvedere affacciato sulle montagne. Si riscende nella piazza principale, tornando allo slargo davanti alla casa dei Sutores, passando poi davanti ad un caratteristico palazzetto cinquecentesco, difronte all'ingresso del municipio. Sulla sinistra del loggiato comunale, una stretta via scende fino alla scomparsa Porta da Monti. Percorrendola si ammira il palazzetto con un'elegante balconata, opera di Pietro Maggi, architetto svizzero naturalizzato in paese, autore di numerose opere tra Marche e Abruzzo.

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