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Ripatransone
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Il Belvedere del Piceno, come viene chiamato grazie alla sua posizione elevata a ridosso della costa che permettette di abbracciare con lo sguardo, un vasto territorio tra Marche e Abruzzo.
Il nome richiama una ripa o rupe di proprietà di Transone, la tradizione vuole che sia stato un Conte di stirpe franca o longobarda, vissuto tra VIII e IX secolo, che alcuni identificano con il nipote del duca di Spoleto, cavaliere di Carlo Magno o condottiero di Ludovico II, Imperatore d'Italia. La storia sui documenti invece attesta la presenza di un Transone nel XI secolo, ricco proprietario terriero tra le vallate del fiume Menocchia e del Tesino, citato quando suo figlio nel 1020, venderà diversi terreni al vescovo di Fermo. In più, non si parla di Ripatransone fino alla fine dell'XII secolo, quando erano già presenti nell'area quattro castelli di origine feudale: Roflano, Agello, Capodimonte e Monte Antico. Questi si dividevano a tra quelli posseduti dai vassalli del vescovo fermano e quelli della famiglia dei Tasselgardeschi, signori di Penna e di Marano che, fino a un secolo prima, dominava incontrastata nell'area. Ma a quei tempi la dinastia era in crisi economica da tempo e quindi costretta a vendere diverse proprietà; della situazione ne approfitterà il porporato fermano che stava conducendo una politica di espansione territoriale, anche spregiudicata, nel 1112 infatti aveva già preso possesso di Agello. Nel 1121 il podestà di Fermo Adenolfo dei Bonifaci riesce porre fine alle lotte tra i nobili ed il religioso, ovviamente prevale quest'ultimo che ottiene così anche i diritti su Roflano e Capodimonte, ceduti in enfiteusi ai Tasselgardeschi a patto che essi rinunciassero ai diritti sui castelli di Marano, Monte Antico e Agello. L'espansione vescovile però ha un'interruzione nel 1176, quando a seguito di una politica contro l'imperatore Svevo, Fermo viene devastata dalle sue truppe, capitanate da Cristiano di Magonza. Quindi nel 1185 il vescovo Presbitero, ritorna a patteggiare per l'impero ottenendo da Federico Barbarossa i privilegi sui quattro castelli ripani, riconfermanti dopo la sua morte anche dal figlio Enrico VI, nel 1192. Nel frattempo nomina Marcovaldo di Annweiller Marchese della Marca. Costui inizia a prendere di mira tutte le realtà feudali che non si piegavano all'impero e nel 1195, tutta la marca tranne Fermo, è a lui sottomessa. La città rimasta isolata riesce a resistere grazie all'abilità politica di Adenolfo, che nel 1198 per meglio contrastare Marcovaldo, decide di riunire i quattro castelli in un nuovo centro, fenomeno abbastanza comune all'epoca. L'edificazione dell'insediamento però non va a genio al Marchese che con le sue truppe lo devasta, ma costretto ad una repentina partenza, l'insediamento viene subito ricostruito. Nel 1205 Adenolfo, divenuto vescovo, si fa riconoscere i diritti sui quattro castelli anche dal Papa Innocenzo III e sottoscrive i patti con Ripatransone che in cambio di protezione, giura fedeltà al comitato fermano. Con la nomina di Azzo VII d'Este a Marchese della Marca si genera uno scontro con il vescovo di Fermo per diversi castelli che l'estense aveva rivendicato come suoi, nel 1221 ci sarà un arbitrato tra le due parti condotto dal Patriarca di Aquileia che renderà al precedente proprietario, i feudi usurpati. Sotto il patronato del vescovo Ripatransone intanto andava acquistando territori, nel 1225 acquista quote di proprietà dei castelli di Monte Mozzano e di Trifonzio, i cui signori erano anche vassalli degli Acquaviva, la dinastia dei futuri duchi d'Atri, con la quale si stringe un accordo nello stesso anno, da allora la dinastia e la cittadina rimarranno sempre legati. Col ritorno delle truppe dell'imperatore Federico II, volte a strappare la marca al papato, nel 1228 Fermo viene assediato dal legato imperiale Rinaldo d'Urlsingen che aveva scelto Ripatransone come base operativa, dove sosta a lungo visto il prolungarsi della campagna militare, dovuta alla feroce resistenza fermana. Rinaldo per ricompensare la cittadina gli concede i diritti su alcuni castelli circostanti: quello di Penna, a ridosso della cittadina e quelli di Cossignano, Lameriano, Massignano, Marano e Sant'Andrea, con la facoltà di poterli anche radere al suolo. Comunque non godrà a lungo del suo piccolo stato, già l'anno successivo con la pace tra papato ed impero, la cittadina perde i suoi territori, riuscirà comunque a strappare a Fermo il possesso del castello di Penne, ma solo nel 1248. Da qui il libero comune, divenuto filo imperiale e antifermano dà il via ad una serie di iniziative volte a preservarne l'indipendenza, azioni favorite dalla decadenza del potere vescovile che, in quel momento andava manifestandosi. Ma alla vista delle armate del Cardinale Pietro Capocci, giunte nel 1249 per combattere gli imperiali, è costretta a tornare sotto il potere pontificio, da qui decise quindi di lavorare di diplomazia con il papato, al fine di poter continuare la sua espansione territoriale. Riesce infatti a farsi concedere l'uso del porto di Marano e l'esenzione dalle tasse portuali minando il predominio fermano sulla costa, nel 1253 recupera anche i diritti sul castello di Monte Mozzano e su metà di quello di Trifonzio, tornati in mano ai fermani, nello stesso anno continuano le dispute in tribunale per il rispetto dei patti sottoscritti tra le due al tempo della fondazione, ma l'anno dopo Marano si sottometteva a Fermo precludendone così l'accesso al porto. Nel 1258 viene incoronato Imperatore il figlio di Federico II: Manfredi, i fermani ne approfittano subito giurandogli fedeltà, in cambio ottengono i diritti su vari territori e l'impegno a far rispettare i patti a Ripatransone. Ma con la morte di Manfredi nel 1264, viene inviato nella Marca fermana il Cardinale Simone Paltinieri per sottomettere la città all'obbedienza pontificia; Marano torna sotto il controllo della Santa Sede riaprendo il porto ai ripani, ma Fermo pur di riaverlo si sottomette al prelato, riuscendo quindi a recuperarlo nel 1266. Costruiranno quindi a Marano una possente rocca per scongiurare ogni invasione da parte di Ripatransone, perdendo così per sempre, l'occasione di avere uno sbocco sul mare.
Infuriarono così i dissapori tra i due centri, nel 1275 si registrano ancora appelli del porporato fermano contro la cittadina, nel 1279 i ripani vengono multati per aver partecipato agli assalti contro i castelli di Borumpadaro e Marano, si macchieranno anche di reati di pirateria con l'assalto ad una nave.
All'inizio del XV secolo Ripatransone era ritornata sotto la protezione della Santa Sede, mentre si scatenavano altri diverbi con Fermo, stavolta per i castelli di Colle Guardia e di Trifonzio. Forse a causa delle continue liti, nel 1346 stipula un'alleanza con Ascoli da sempre in guerra con la città rivale, dove vigeva in quel tempo, la signoria di Gentile da Mogliano. Due anni dopo per contrastarlo, gli ascolani chiamano Galeotto Malatesta a guidarne gli eserciti, anche le truppe ripane gli si sottomettono fino alla sua cacciata dalla città picena, avvenuta durante la ribellione 1453.
In vista del ritorno del Papa dalla cattività avignonese, arriva a porre ordine nella marca il cardinale Albornoz, Gentile da Mogliano viene assediato a Fermo e infine scacciato nel 1355, le truppe del nipote del cardinale: Gomez Albornoz, intanto si accampavano sotto le mura ripane, impedendo l'arrivo dei rinforzi a Fermo dal regno di Napoli. Recuperata la Marca, nel 1356 pubblica le "Costituzioni Egidiane", Ripatransone citata come città mediocre, rimane indipendente, nel contempo viene inclusa nella nuova istituzione territoriale creata dal cardinale: il Presidato Farfense con sede a Santa Vittoria che si incuneava tra lo stato ascolano e quello fermano. Nel 1376 erano rimaste fedeli al papa solo Ascoli e Ripatransone, questa viene quindi assediata dalle forze ghibelline per due volte, senza riuscre a violare le mura, nel secondo assedio parteciperanno anche Boffo da Massa e Rinaldo da Monteverde, nuovo tiranno di Fermo. Nel 1389 anche i fermani provano ad assediarla, ma anche stavolta le difese non crollano ed alla fine sono costretti a ritirarsi. Si ricorda soprattutto un altro fatto interessante, accaduto nel 1429 che vede i due antagonisti ancora in lotta tra loro. Alla fiera di Sant'Angelo in Trifonzio infatti erano venuti alle mani con morti e feriti, prevalsero alla fine i ripani e vuole la leggenda che cavarono gli occhi ai nemici che furono poi spediti a Fermo in una cesta, nascosti fra le ciliegie.
Quando arriva lo Sforza nel piceno, nella cittadina si formano due fazioni che discutono se contrastarlo o accoglierlo, alla fine vince la seconda guidata da Luca Boccabianca che nel 1434, apre le porte al signore milanese. I contrari guidati da un nobile di nome Scoccia mal sopportano i soprusi fino a quando nel 1442 Santoro Pucci, isolato un soldato dello Sforza, lo uccide dando così il via alla rivolta che riesce a scacciare il presidio nemico. Così gli eserciti sforzeschi capitanati direttamente da Francesco si precipitano a riprendere la cittadina che riesce inizialmente a resistere all'assedio ma poi si arrende, rimane a presidiarla il fratello Alessandro Sforza, ma si rivelerà incapace di gestire la situazione, quindi le truppe, sfuggite al suo controllo, razziano la cittadina causando numerosi danni. viene anche incendiato l'archivio. I ripani intanto meditavano la vendetta, si dice che il Santoro, scappato a Roma, riuscì a persuadere il pontefice che mobilitò il valente capitano Niccolo Piccinino allo scopo arginare militarmente lo Sforza. All'arrivo del Pucci con le truppe papali, gli uomini e le donne assediati si armarono e corsero a dare sostegno al liberatore, riuscendo così a scacciare l'invasore che ormai andava perdendo il suo potere sulla marca e poco dopo infatti, avrebbe l'avrebbe lasciata per sempre. La battaglia avvenne il 18 gennaio 1445, nel giorno di Santa Prisca che da allora sarà ricordato e celebrato, i Boccabianca rei di aver supportato lo Sforza saranno scomunicati e banditi dalla cittadina salvo poi essere reintegrati qualche anno più tardi. Nel 1457 passa di qui il cardinale Borgia, il futuro Papa Alessandro VI, che vi si stabilisce per un periodo allo scopo di sfuggire al colera e grazie a due medici ripani, riesce a scampare al contagio, nel 1476 intanto si stabiliscono nel territorio i profughi gli slavi, in fuga dall'impero Ottomano. L'aiuto offerto al futuro pontefice non salverà però dalle sconsiderate opere di suo figlio, Cesare Borgia che approfittando del padre, si andava ritagliando una sua signoria personale a scapito degli stati pontifici, tartasserà Ripatransone con ogni sorta di richieste fino alla morte del Papa nel 1503. Subisce anche un saccheggio nel 1515 quando un gruppo di armate di Carlo III di Borbone-Montpensier, viene ospitato dentro le mura grazie a un lasciapassare pontificio falso. Ricco di leggende è l'episodio del 1521, quando un piccolo esercito di spagnoli capitanati forse da Garcia Manriquez de Mendoza, escono dal Regno di Napoli e dirigendosi a nord, decidono di passare per Ripatransone certi di essere accolti come accadde per le armate di Carlo III. Ma i ripani memori del saccheggio si opposero fermamente, quindi serrate le porte si prepararono all'inevitabile assedio che la popolazione riuscì a respingere. le varie tradizioni ricordano le scene di eroismo delle donne ripane che ancora presero in mano le armi al fianco degli uomini, tra queste Bianca Benvignati-De Carolis che catturò la bandiera degli spagnoli e sventolandola forse dal torrione di Porta d'Agello, rinsaldasse gli animi dei cittadini che scacciarono così i nemici. Durante il sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi nel 1527 si ricorda la presenza di alcuni capitani di Ripatransone negli schieramenti italiani al soldo di Carlo V. Continuava nel frattempo il sodalizio tra gli Acquaviva e la cittadina, già nel 1507 i ripani sono esentati dai pedaggi nelle terre del ducato, nel 1568 Giovanni Girolamo Duca d'Atri stipula addirittura un'alleanza con la cittadina.
Dopo anni di richieste e dopo l'interessamento di vari personaggi famosi all'epoca tra i quali Michelangelo col suo allievo ripano Ascanio Condivi, San Filippo Neri e Annibal Caro, Pio V eleva la cittadina a sede vescovile, finisce quindi ogni legame con la diocesi fermana. L'anno successivo la chiesa di San Benigno divenne la Cattedrale e si avvia una breve epoca felice dato che dal punto di vista militare, era divenuta anche uno dei più importanti baluardi degli stati pontifici. Ma la diocesi ebbe vita breve in quanto l'elezione a pontefice di Sisto V, nato a Grottammare da famiglia originaria di Montalto Marche, decise quindi di fare sede vescovile anche quest'ultima nel 1586 sottraendo territori a quelle vicine. Eleva anche Fermo ad arcidiocesi al quale anche Ripatransone sarà sottoposta, trasforma anche il Presidato Farfense in quello Sistino, accentrandone i poteri a Montalto. Dopo il passaggio di Sisto V, il centro ne esce piuttosto ridimensionato amministrativamente, rimane comunque uno dei più importanti presidi militari sul quale il papato continua ad investire con varie opere difensive. Nel XVII secolo inizia un'inevitabile decadenza per complici carestie e pestilenze tipiche di questo secolo, non ricco di particolari eventi in quanto la situazione politica si era andata stabilizzandosi, grazie alla controriforma si diffondono nuovi sentimenti religiosi. Nascono le confraternite, si ricorda quella di San Giovanni che nel 1620 introduce una statua della Madonna di Loreto, chiamata anche Madonna di San Giovanni, intorno ai suoi festeggiamenti nascerà la tradizione del Cavallo di Fuoco che si ripete ancora oggi. Anche il secolo successivo non sarà tra i più densi di avvenimenti se si escludono alcune sciagure come il funesto terremoto del 1703; nel 1734 riesce però ad ottenere l'istituzione del "Consiglio di Credenza", sorta di ente governativo locale, l'anno successivo e nel 1744 si ricordano anche i passaggi delle truppe spagnole che devastarono le campagne.
La vita tutto sommato tranquilla sarà spezzata sul finire del secolo dallo scoppio della rivoluzione francese, già le prime avvisaglie si erano avvertite quando dei preti francesi in fuga, vengono qui ospitati. Nel 1798 le truppe rivoluzionarie arrivano anche negli stati Pontifici annullando gli antichi privilegi e formando nuove istituzioni insieme alla fondazione della Repubblica Romana che però ebbe vita breve, nel nuovo ordinamento territoriale Ripatransone era rientrata nel Dipartimento del Tronto con sede a Fermo, come Capoluogo di Cantone. L'esperienza repubblicana ebbe breve durata, complici numerose sollevazioni di massa contro gli eserciti rivoluzionari, insorge il ripano Giuseppe Cellini che a capo di un esercito di briganti insieme a Sciabolone, il prete Donato de Donatis ed il generale disertore La Hoz. Nel 1799 sarà proprio il De Donatis a liberare la cittadina scarsamente difesa dai francesi, le truppe napoleoniche però stavano ormai prendendo il sopravvento e presto la rioccupano arrestando per un breve periodo, anche il vescovo. Fino al 1808 il papato aveva conservato il suo stato ma in cambio aveva dovuto tollerare la presenza di Napoleone, dopo la rottura degli equilibri e la cacciata del pontefice, vengono ripristinate le istituzioni repubblicane e la cittadina ridiventa Capoluogo di Cantone fino alla Restaurazione. Ritornata saldamente sotto il controllo della Santa Sede, sotto le sue mura nel 1821 si disperdono sotto il fuoco delle truppe pontificie, i rivoluzionari repubblicani guidati dal maceratese Vincenzo Pannelli, in quell'anno vi nasce il poeta e patriota Luigi Mercantini. I ripani si mostreranno tranquilli anche durante i moti del 1831 e in quelli del 1848, esplosi quasi ovunque, differente invece sarà la reazione all'Unità d'Italia, ormai alle porte.
Nel 1860, poco dopo la battaglia di Castelfidardo, si solleva liberandosi da sola dalle istituzioni pontificie, abbracciando quindi il nuovo regno italico, nel periodo post unitario grazie a Emidio Consorti diventa un centro di importanza nazionale per l'istruzione. Dopo essersi arricchita, prima dell'unità, della moderna strada "Cuprense" che la collegava agevolmente alla costa, passata la guerra risorgimentale, viene edificato l'ospedale e vengono istituiti diversi uffici amministrativi, diventa sede del Mandamento, istituzione che gestiva le cause giudiziarie nei centri limitrofi. Dopo la prima guerra mondiale che non coinvolge direttamente la cittadina, segna l'inizio di una parabola discendente che sotto il fascismo le porterà a perdere i suoi privilegi amministrativi, soprattutto con la soppressione dei mandamenti. Durante la Seconda Guerra invece viene occupata da i tedeschi in ritirata e minata, la fuga repentina delle truppe però non darà il tempo di far brillare le cariche, nel secondo dopoguerra inizia lo spopolamento, oggi la fuga si è fermata e la vicinanza alla costa ha favorito lo sviluppo del turismo. Molto scenografico è l'arrivo a Ripatransone in quanto bisogna scalare le sue brulle pendici, avvolte dalla macchia mediterranea dove spesso spunta una fila di calanchi, fino ad arrivare sulla cima, composta dai colli occupati dall'abitato.
Il profilo turrito, cinto ancora dalle sue possenti mura, permette ancora di essere accolti dalle sue porte medievali che oggi invece di sbarrare il passo, anticipano le bellezze che proteggevano. Da Porta d'Agello che si trova ad Est la strada provinciale costeggia la cittadina fino a Porta di Monte Antico, il lungo percorso è affiancato dalla balconata sulla valle del Tesino, dove il panorama arriva a toccare la catena del Gran Sasso. Al centro dell'abitato si trova la Cattedrale col suo poderoso campanile, sulla stessa piazza si trova anche l'Episcopio con annessa la chiesa sconsacrata di Sant'Agostino oggi adibiti a museo, si nota la bella casa di Ascanio Condivi con la sua loggetta rinascimentale. Il grande spazio aperto in realtà più che una piazza è un allargamento del corso principale, dedicato a Vittorio Emanuele che serpeggia per l'abitato in tutta la sua lunghezza, lungo questa direttrice sorgono gran parte degli edifici di interesse e delle piazze cittadine. Cominciando a salire dalla Cattedrale si arriva il sistema di piazze superiori, la prima che si incontra è quella del Municipio con la balconata panoramica sul quartiere di Roflano, raggiungibile attraversando il passaggio coperto sulla destra, poco prima di arrivare alla piazza. Da qui si scende lungo la scalinata che arriva alla piazza del quartiere dove sorgono il convento di San Pastore, la chiesa di San Michele e lungo la discesa si incontra anche quella di Sant'Antonio. Continuando invece sulla piazza comunale vi è la chiesetta di San Rocco affiancata al maestoso Palazzo del Podestà con il suo loggiato, all'interno ospita anche il teatro "Mercantini", adiacente si trova Piazza de Tharolis col monumento ai caduti al centro, la più grande del paese, dove oltre dai due edifici pubblici è chiusa dalla lunga sagoma di Palazzo Benvignati. Si continua a scendere lungo il corso fino ad arrivare al quartiere di Agello, si incrociano lungo la strada il Palazzo Bonomi-Gera sede del museo civico, la grande mole del convento di Santa Chiara e li vicino il campanile di San Benigno, ultimo resto della prima cattedrale ripana. Proseguendo c'è Palazzo Benvignati-Angelini sulla destra, davanti alle caratteristiche abitazioni tardo-medievali, appartenute sempre della stessa famiglia; si arriva quindi alla fine del paese, al parchetto davanti alla sconsacrata Santa Maria Assunta dove si ammirano le opere difensive e la porta medievale. Arrivati fin qui si può tornare indietro passando per i quartieri in basso, vi si arriva percorrendo la strada che svolta intorno alla chiesa oppure tornando indietro lungo il corso per un breve tratto fino all'incrocio sul fianco di Palazzo Bonomi-Gera. Qui si scende fino alla chiesa di San Filippo Neri con annesso il convento, trasformato nell'Istituto Magistrale "Mercantini", tra qui e la mole del palazzo municipale in alto, si stagliano una serie di viuzze parallele tra loro dove sorgono interessanti edifici, tra le due più in alto, si trova il primato cittadino: il vicolo più stretto d'Italia. Dalle scuole magistrali si può anche proseguire fino ad incrociare la scalinata che scende a Roflano, tirando dritto su Via Consorti, si passa quindi affianco al Complesso del Grifoni, qualche metro più avanti incrocia una scalinata che scende fino al Teatro delle Fonti ed alla Porta Cuprense. Salendo invece si ritorna nella parte bassa della piazza della cattedrale dove ci sono alcuni interessanti edifici, il primo presenta un raro loggiato in legno, adiacente si trova Casa Teodori, che continua il loggiato, stavolta con arcate in cotto decorato. Davanti c'è Palazzo Massi-Mauri con il terrazzo decorato ferro battuto che valorizza l'acuto spigolo dell'abitazione, riprendendo per il corso si prosegue per il quartiere di Monte Antico. Edificato a cavallo tra due colli, quello di San Francesco con l'ex convento trasformato in ospedale e quello di San Nicolò dove si trova la pieve omonima, nella parte bassa tra le due alture si trova la chiesa di Santa Maria della Valle, davanti a Palazzo Bruti Liberati. Sulla cima del colle di San Nicolò c'è un bel parco costruito a ridosso delle mura, ideale per una sosta e per vedere il panorama circostante dal punto più alto della cittadina, si può scendere infine a visitare Porta di Monte Antico e ritornare indietro percorrendo per la passeggiata lungo la strada cuprense, con le sue vedute a volo d'uccello che, al tramonto, danno il miglior spettacolo.

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